Poesia
e fotografia di Giacomo Garzya
|
![]() ZAKINTHOS, Luglio 1996 (Foto di Giacomo Garzya) |
Sono
paesaggi, colori del tempo, sensazioni e sentimenti attuali o sedimentati
nell'animo e nella mente, riflessioni impressionistiche, notazioni
fuggevoli, pensieri a lungo covati e maturati, ricordi di scuola
e di vita quelli che ispirano la poesia di Giacomo Garzya. La nota
della delicatezza nativa e della sensibilità vivace e umbratile
dell'autore traspare ad ogni suo verso. Ma non è una modalità intimistica
quella nella quale il verso dichiara e compone la materia del suo
poetare. È, piuttosto, il vario e reattivo atteggiarsi di uno spirito
inquieto che non si ripiega su se stesso e che non rinuncia mai
a vivere nel mondo e col mondo, fra gli altri e con gli altri: uno
spirito positivo e fiducioso a malgrado di tutto quanto il mondo,
gli altri, la vita possano ispirargli o fargli penosamente sentire
in senso contrario. Lo soccorre in ciò la forte componente culturale
del suo sentire e del suo pensiero: una componente culturale fatta
in gran parte di storia e di storiografia, ma anche di arte e di
letteratura, di memorie poetiche e di educazione ed esperienza retorica.
Considerato tutto ciò, ci si aspetterebbe di imbattersi in una poesia
greve del peso di se stessa, magari un po' presuntuosa nell'esibire
le sue varie e colte componenti. I versi di Garzya sono, invece,
lievi, scorrono con la naturalezza della spontaneità che li ha dettati
anche quando sono densi - e talora
troppo densi - di nomi famosi, di tópoi storici e letterari. E questo, prima ancora che alla qualità intrinseca dei suoi versi, e quale che essa possa apparire, più agli uni o meno agli altri pregevole, è dovuto certamente al fatto che la poesia non è stata per Garzya tanto una scelta quanto un bisogno. Egli non ha voluto essere poeta, si è trovato ad esserlo, ed è stato lieto di trovarsi ad esserlo, ne ha tratto consapevolezza e conforto, ne ha ricevuto il dono prezioso di un rapporto nuovo ed autentico con se stesso, con il mondo, con gli altri, e ha ricambiato il dono con una dedizione generosa e fedele. Gli era accaduto lo stesso con la fotografia. E ciò è tanto vero che con la fotografia la sua poesia ha un rapporto profondo. Non direi che sono per lui la stessa cosa, e neppure che il poeta si risolva nel fotografo. Sono due vie del suo percorso umano, che corrono parallele e talora sovrappongono i loro tracciati, ma non cessano per questo di essere I'una fotografica e I'altra poetica. In questo senso l'ultima composizione di Maree, quella intitolata Giacomelli è una buona epigrafe del volume, un congedo significativo del poeta dal lettore, proprio perché, in versi e con parole da poeta, esprime la sentita, partecipe reazione a un ideale di fotografia (la più pura, vi si dice senza esitare). E, forse, proprio qui si svela una virtù superiore della parola (poesia) rispetto all'immagine (fotografia), di cui neppure Garzya è del tutto consapevole, ma che deriva dalla radice più profonda del suo spirito: la radice di una civiltà che nell'umanesimo della parola ha trovato la sua cifra distintiva e la misura ad essa più propria. Se così fosse, la poesia avrebbe segnato l'approdo ultimo, chiarificatore di quel bisogno dal quale, come si è detto, essa appare nata nello spirito di Garzya. In alcune delle liriche di Maree sembra di avvertirlo in modo pregnante: così in Dimenticare, ad esempio; così in Asperità; così in Giochi; così in Autunno e in A un sorriso un dono. L'animus, per così dire, fotografico di Garzya non risente di questa primazia concettuale e poetica della parola, se una tale primazia, come pensiamo, in lui sussiste. È, infatti, un primato fra pari quello, in lui, della parola. Tanto è vero che alle immagini e al dire i suoi versi tendono ad accoppiare in intimo rapporto i suoni. E non perché, o non soltanto perché, di alcune poesie si dice esplicitamente che sono state ispirate da musiche. Piuttosto, perché la musica è per Garzya in profonda interrelazione con le immagini e con la parola; è un'altra dimensione del suo sentire, pensare, vivere il mondo e il proprio rapporto con gli altri. Anche qui, insomma, non una scelta, bensì un modo di essere e di sentire. Non vorremmo, però, neppure minimamente, schiacciare I'umanità e il mondo di Giacomo Garzya sotto il peso di tante riflessioni saccenti, che pure sono state dettate unicamente dalla lettura affettuosa dei suoi versi e dall'antica conoscenza e apprezzamento di lui con cui quella lettura è stata condotta. Tutto poi serve a dire che la poesia non è stata per Garzya semplice evasione o vieto esercizio arcadico, bensì lo sbocco naturale di una personalità in cui sono maturati col tempo, alla pari, esperienze e bisogni. Tutto si riduce, insomma, a dire che, se la poesia ha sempre un ufficio di catarsi del vissuto nel suo bene e nel suo male, nel suo bello e nel suo brutto, questo è vero indubbiamente in modo specifico per il poeta Garzya. Da questo punto di vista non è questione di grande o piccolo poeta. Il mondo di Garzya è semplice, ancorché pensoso; è composto, ancorché vivace. La spontanea levità con cui scorrono i suoi versi, pur evidentemente tanto curati e rifiniti, non ha alcuna tentazione, né la fa avere al lettore, di fingere travagli abissali, invidiosi veri, insospettabili e improbabili profondità. La poesia di Garzya è quale subito appare: naturale e credibile nella sua radice umana e nelle movenze che si è data. Il lettore non deve cercarla negli ascosi penetrali del tempio. La incontra, semplice e affabile, sulla soglia e non ha difficoltà a intrattenersi con essa in fidati, per quanto tenui e sommessi, colloqui.
GIUSEPPE GALASSO |
È
con vero piacere che mi accingo a presentare, in questa benemerita
sede dell'HUMANITER, il libro "Napoli: luoghi letterari"
di Aurora Cacopardo e di Francesco D'Episcopo, edito nel 2011 dalla
emergente Casa Editrice IUPPITER EDIZIONI di Napoli. Aurora Cacopardo,
ora insegnante qui all'HUMANITER, è stata una valente docente di
materie letterarie nei Licei ed è una colta, sensibile, acuta critica
letteraria napoletana, che ho avuto modo di apprezzare personalmente
negli ultimi anni leggendo le sue recensioni agli ultimi miei libri
di poesie. Ella ha infatti dato ottima prova di sé collaborando
con riviste quali Il Cerchio, Essere, Napoli City, nonché scrivendo
sulle pagine culturali del Roma, del Danaro e di Chiaia Magazine,
un periodico questo di grande importanza civile, sociale e culturale
non solo per il quartiere Chiaia, ma per Napoli tutta.
Francesco D'Episcopo, autore di numerosi volumi e saggi sulla Letteratura italiana, insegna questa materia alla Federico II ed è un critico letterario, con al suo attivo vari riconoscimenti ufficiali alla sua pluridecennale attività. Il libro che si presenta ora, riguarda quattro autori, che hanno lasciato una traccia profonda nella cultura napoletana, pur con esiti diversi : Carlo Bernari, Luigi Incoronato, Domenico Starnone ed Erri De Luca, i primi due, avendo avutouna fortuna non proporzionata al loro effettivo valore. Gli ultimi due, a noi contemporanei, depositari di numerosi riconoscimenti sia da parte della critica che dal pubblico di lettori. Scopo principale delle pagine critiche di questo libro è non solo spingere alla lettura di pagine su Napoli talora dimenticate e difficili da reperire, è il caso di Bernari, ma quello di riscoprire due autori, Bernari appunto e Incoronato, che hanno dato nei loro scritti un'immagine realistica, anzi meglio dire neorealistica, della città di Napoli e confrontarli con due autori, Starnone ed Erri De Luca, che nel raccontare la loro città, perché di racconti si tratta e non di romanzi, hanno dato sì un taglio realistico, ma soprattuttolirico, in particolare Erri De Luca, ma anche Luigi Incoronato, nella scena alla Stazione centrale e al suo vagare tra i binari, insieme al protagonista anonimo, che si identifica, come ben dice Francesco D'Episcopo, con l'autore stesso. La scelta di Aurora Cacopardo e Francesco D'Episcopo di analizzare l'opera di questi quattro autori, tuttavia non prescinde dal voler mettere in evidenza i luoghi i cui si svolgono le storie e lo stesso narrare: via Speranzella, Scala a San Potito, via Gemito, Monte di Dio. I luoghi, i siti hanno sempre rappresentato e rappresentano momenti evocativi di grande valore emotivo sia per chi vi nasce, sia per chi li vive e sia per chi li visita da forestiero. I luoghi sono la storia dentro e fuori di noi e di essi non si può fare a meno se è vero che la memoria non ossida il tempo, cioè se la memoria permette che il tempo inteso come vissuto di un singolo e/o della collettività resista all'oblio. Ciò vale per tutti i luoghi che hanno un vissuto da raccontare, Napoli e la Gerusalemme di Erri De Luca, nel nostro caso. La Napoli, qui raccontata, è una Napoli fatta di eroi e antieroi, penso, in particolare, da una parte, al ragazzino protagonista in "Montedidio", dall'altra, all'anonimo protagonista, con Giovanni, in "Scala a San Potito", ma anche una Napoli disperata nella sua miseria, lontana anni luce dalle rappresentazioni festose, carnascialesche, folkloristiche di certa ben nota letteratura. Il colore della miseria, della solitudine, che prevale in molti passi di queste opere e nei suoi personaggi è il grigio, un grigio che dà poco spazio alla speranza, se si escludono le avventure salvifiche nel racconto di Erri De Luca. In "Napoli: luoghi letterari" Aurora Cacopardo tratta in primis della figura letteraria e artistica di Carlo Bernari, un autore di spessore, che Domenico Rea non esitava a proclamare, nel 1958, come "l'unico scrittore napoletano degno di questo nome" e che avrà una vita spesa tra giornalismo, riviste letterarie e sceneggiature cinematografiche. Ebbene Carlo Bernari, autodidatta, come non pochi scrittori negli anni '20 e '30, antifascista, frequentatore delle idee crociane, nonché, durante un breve soggiorno a Parigi, di André Breton, padre del Surrealismo, produsse nel 1934 il suo primo romanzo "Tre operai" in una collana diretta da Cesare Zavattini, che non ebbe che poco pubblico, anche se una buona critica. "Tre operai" rappresenta il manifesto sociale dello scrittore, che preannuncia un lavoro di scavo ventennale sulla sua città, che si condenserà in due volumi, la "Bibbia napoletana" - "considerato uno dei libri più affascinanti non solo su Napoli ma "di Napoli" - e "Speranzella", il suo capolavoro, uscito nel 1949 e vincitore ex aequo del Premio Viareggio, con buon successo, questa volta, di lettori e di critica. Aurora Cacopardo, dopo aver ben disegnato la biografia di Bernari senza nascondere l'astio che nei suoi confronti aveva avuto Elio Vittorini, come è noto, intellettuale organico del Partito comunista e quindi diffidente nei confronti di chi conservava una propria libertà di scelta e di giudizio, si ferma a parlare a lungo del romanzo "Speranzella", ambientato nella Napoli a cavallo del ben noto Referendum Monarchia-Repubblica. Questa disamina critica di Aurora Cacopardo si sofferma sui punti principali dello spirito narrativo di Bernari, nonché sulla sua tecnica narrativa e sull'uso del dialetto, sulla scia dell'esperienza di Verga e di Alvaro, senza dimenticare la lezione di Di Giacomo, Viviani, Murolo, per non parlare del Cortese, del Basile, del Velardiniello. Importante è la considerazione della Cacopardo, quando dice che "i personaggi di Bernari…non cadono mai nel bozzetto, perché lo scrittore vi trasferisce con naturalezza l'elemento storico-documentario", cioè fa un lavoro di scandaglio di natura storicistica, nella migliore tradizione crociana. Quindi nessun folklore, niente pietismo né macchiettismo. L'analisi di Carlo Bernari di Aurora Cacopardo si conclude, in modo analogo, con analogo metodo, nella trattazione della vita e dell'opera di Erri De Luca, alla luce, in paticolare del racconto "Montedidio", dove, anche se in modo molto diverso, lo scrittore mette in luce la sua visione di Napoli rapportata al sogno salvifico del volo a Gerusalemme di Rafaniello, ebreo errante, che trova rifugio nella Napoli devastata dalla guerra, dalla fame e dalla miseria, una Napoli europea nella sofferenza per dirla con Curzio Malaparte e la sua visione di Napoli rapportata al bumeràn atrettanto salvifico, nonché liberatorio, del protagonista ragazzino, onesto nelle sue movenze, come il padre scaricatore di porto, in una Napoli corrotta e ferita, vedi la vicenda triste del padrone del palazzo e di Maria. Aurora Cacopardo felicemente conclude il suo itinerario critico dicendo che Erri De Luca "riesce, spesso,a scavare in profondità con risoluta delicatezza", trattando "così il comico, il tragico, la ricerca del sacro", senza perdere, aggiungo io, la sua vena poetica e fantastica. Francesco D'Episcopo, da parte sua, analizza l'opera di Domenico Starnone e del meno fortunato Luigi Incoronato. Meno fortunato se si considera il tragico epilogo della sua vita, che, leggendo attentamente il suo racconto "Scala a San Potito", può dirsi già in nuce tanti anni prima. Studioso di Incoronato, D'Episcopo ne tratteggia pienamente la biografia, elemento primo di ogni analisi successiva, sottolineando l'anno 1960, in cui non solo vince il Premio Napoli con il romanzo "Il Governatore", ma fonda la rivista "Le ragioni narrative", insieme a scrittori come Compagnone, Pomilio, Prisco e Rea, nonché accademici come Salvatore Battaglia e Leone Pacini Savoj. La notorietà di Incoronato nasce, tuttavia, nel 1950 con "Scala a San Potito", edito da Mondadori, emblema della precarietà, delle gravi difficoltà di sopravvivenza che il popolo napoletano incontrò nell'immediato dopoguerra. D'Episcopo, analizzando "Scala a San Potito" nota acutamente che l'anonimo protagonista del racconto "si identifica, nella sostanza, con l'autore stesso, il quale "sente… lo strano bisogno di tornare…sulle scale, che avevano ospitato una stagione straordinaria della sua vita, legata all'amicizia con l'altro personaggio centrale…Giovanni", tragicamente ucciso da se stesso e dalla sua disgraziata vita. Non è il caso di entrare nella trama del racconto e la stessa cosa vale per "Via Gemito" di Starnone, per invitare i qui presenti a leggere personalmente questo libro "Napoli: luoghi letterari" che fa una lucida sintesi e invoglia a leggere questi autori, di cui si possono ora reperire i titoli in libreria. Tale sorte non è quella di Bernari, che costringe i lettori a recarsi in Biblioteca, il che farebbe pensare comeottima cosa la ristampa da parte di qualche buon Editore, almeno di "Speranzella".
GIACOMO GARZYA Questo testo da me letto il 28 febbraio 2014, è stato in gran parte pubblicato in CHIAIA MAGAZINE, Anno IX, numero ½ - febbraio/marzo 2014. |
È
con grande piacere che mi accingo a presentare questo nuovo libro
edito nel novembre 2015, da Iuppiter Edizioni , Napoli (pp.1-164)
di Aurora Cacòpardo, di formazione crociana ( è su
Benedetto Croce la sua tesi di laurea in Filosofia teoretica). Aurora Cacòpardo, prima di tutto amica, poi nota scrittrice e saggista napoletana, collaboratrice di numerose riviste tra cui "Essere", "Il Cerchio","Napoli City", delle pagine culturali del "Roma" e del "Danaro", mi ha onorato negli ultimi anni presentando i miei ultimi libri di poesie a Palazzo Serra di Cassano, con numerose recensioni sulla stampa, mi riferisco al "Chiaia Magazine", una rivista che bene accoglie gli umori del quartiere e della città di Napoli. Per conto mio nel 2014 ho di nuovo avuto modo di apprezzare le sue qualità di critica letteraria e la sua vasta cultura recensendo su "Chiaia magazine" (IX, n.1-2, febbraio/marzo 2014), un suo libro "Napoli: luoghi letterari", scritto da lei e da Francesco D'Episcopo e presentandolo il 28 febbraio dello stesso anno alla Fondazione Humaniter, a Piazza Vanvitelli. Ora, in questa prestigiosa sede del PAN, "Sotto un contorto ulivo saraceno" di Aurora Cacòpardo mette di nuovo in luce non più la saggista, ma la scrittrice di numerosi libri tra cui vale ricordare "Un colpo inaspettato e altri racconti", "Carlo Emilio Gadda e il romanzo giallo", "La via che conduce a te". "Sotto un contorto ulivo saraceno" è il titolo del libro, che in questa sede si presenta, ed è anche il titolo del racconto che l'Autrice vuole porre in primo piano, tra i tanti che compongono il suo libro. Ad una prima lettura sommaria dei racconti, si percepisce, spesso, la presenza della natura, una nostalgia per il nostro passato ricco di eventi, di arte, di archeologia e di cultura. Partendo dal dato concreto che il paesaggio, che spesso si incontra nei luoghi in cui viviamo e siamo cresciuti ed educati, non sia avulso dalla sua storia, una grande storia, quella della Magna Grecia, in primis. Un paesaggio marino, rurale a noi familiare, quello del Tirreno, del Mediterraneo, caratterizzato dalla sua celebre macchia mediterranea, da piante simbolo come l'ulivo contorto saraceno di Aurora Cacòpardo, su tutti e su cui aleggia la grande figura dello storico Fernand Braudel, celebre per tante opere, tra cui "Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni" e per la citazione cui fa riferimento Aurora Cacòpardo: "Il mare è destino"...". I viaggi in luoghi lontani ed esotici potranno emozionare sicuramente, nelle albe, nei tramonti, nelle acque cristalline, e così via, ma avranno sempre qualcosa di incompiuto, di algido, considerando l'assenza di fatti, di eventi decisivi per lo sviluppo di una civiltà, di una qualsiasi civiltà.Tuttavia questa realtà mediterranea idilliaca, bucolica, se vista nell'ottica romantica o di chi fa dell'amore per la natura una ragione di vita, non nasconde per la Cacòpardo e per tutti noi osservatori della realtà effettuale, aspetti inquietanti, quali il degrado ambientale favorito da insediamenti industriali di grande impatto ambientale, quali, per citarne qualcuno nel Sud: Augusta, Taranto, Bagnoli, insediamenti determinati da errate e miopi politiche governative, ma soprattutto il degrado causato da devastazioni vere e proprie, vedi nel casertano, la famigerata "terra dei fuochi", della delinquenza organizzata: Mafia, Camorra, N'ndrangheta, Sacra Corona Unita, che senza alcuno scrupolo etico, e per la realizzazione di profitti spropositati e con la complicità di tanti colletti bianchi, hanno distrutto aree vaste, riducendole a terre mortifere, aree, in cui tra l'altro, abitavano da generazioni.Aurora Cacòpardo divide il suo libro in tre sezioni: "Azioni", "Parole", "Sentimenti". Si tratta, in tutto, di ventuno racconti brevi, connotati, alcuni, da una sottile ironia, altri da una direi quasi surreale investigazione poliziesca, rientrando a pieno titolo, questi, nel genere del giallo, ma di un giallo ben distinto da quello di tanti autori, oggi di moda, che ne hanno fatto un genere di successo, ma nella sostanza non discostandosi da trame e riti consueti. Il genere giallo della Cacòpardo, si esaurisce in brevi ma efficaci pennellate, che mettono in luce la società attuale e non, senza perdere il senso dell'humor, in questo caso tipicamente napoletano e britannico, che come è noto, viaggiano sullo stesso binario. La sezione "Sentimenti" si apre col racconto dell'ulivo contorto saraceno e si divide in due parti ben distinte, la vecchia Myriam, madre di Ester, che muore, "il sole allo zenit", "sotto l'ulivo, sul viso sereno un accenno di sorriso, i capelli scompigliati dal vento, le braccia al seno e le mani giunte sul cuore quasi in segno di preghiera", lei che vent'anni prima, credo, aveva vendicato la figlia Ester, suo malgrado, implicata in fatti di spionaggio, più grandi di lei, uccidendo con due revolverate il responsabile della sua morte. Dal racconto esce uno spaccato non della città vecchia di Gerusalemme, città che per chi ha avuto, come me, la fortuna e l'occasione di visitarla, ha un fascino ineguagliabile, ma dei quartieri recenti, dove la paura di subire un attentato è permanente. Non a caso Myriam si salva dall'esplosione di una bomba ad opera degli eterni nemici Palestinesi. Un racconto, quindi, in cui la serenità della morte è commisurata alla giustizia compiuta, che traspare in un passo della Cacòpardo (p.123), in cui si dice: "solo una cosa non si può condividere, il sogno di una giustizia veramente giusta". Molto lirico, commovente, romantico di un non ancora sopito romanticismo, è il racconto "Un fiore dei mari del Sud", la storia di un amore coltivato lentamente, per poi sbocciare in un fiore impossibile, che morirà con Eugenio prima del tempo, per delle ferite di caccia, rendendo vana l'attesa della donna amata, col naufragio nei Mari del Sud di un matrimonio mai concretizzato, mai consumato. Di sapore tardo rinascimentale la vicenda del povero professor Ricori, zoologo e botanico di fama, ucciso dal veleno imbevuto nelle pagine di un libro di caccia dei tempi di Caterina de' Medici. In queste pagine Aurora Cacòpardo dà prova di maestria e, di nuovo, di grande e sottile ironia. Il professore già segnato dall'assalto di alcuni borseggiatori e non più in possesso delle sue precedenti facoltà mentali, doveva pur prima o poi morire per la sua passione scientifica e antiquaria! Non meno divertente è la storia, pare vera, della principessa russa con "al dito indice un grosso rubino che manda bagliori di sangue", che va a gabbare l'artista innamorato, immemore della profezia d'una gitana. E viene spontaneo pensare che a queste donne dal fascino di una Carmen, sempre bisogna dare retta. I rumori della guerra si snodano a Bagdad nel racconto più lungo, che chiude il libro, "Bagdad addio". Una vicenda umana e sofferta, che si svolge tra le due guerre del Golfo, e vede protagonisti Floriana e il Barone siciliano Ruggero Fonti di Santa Rosalia. Un amore delicato come le zagare di Sicilia, in un paese dove il profumo della sabbia si mischia con l'odore dello zolfo e degli spari dei mortai. Si perderanno i protagonisti per un lungo tempo, ma lei, ormai suor Elisabetta, con nel ricordo il sorriso enigmatico della Sfinge a Giza, quasi a preconizzare un destino infausto, si occuperà dei feriti negli ospedali da campo della seconda guerra del Golfo, molto più cruenta della prima e che farà di Bagdad un cumulo di macerie. Tra i feriti incontrerà il suo Ruggero, ormai moribondo, e vegliandolo, morirà anche lei "fredda, ai piedi del lettino" di lui, di dolore. Una storia che non può non commuovere, una delle tante nei teatri di guerra, di tutte le guerre. Nella sezione "Parole" vi sono quattro racconti, ma è nel primo "Mezzanotte all'Aquarium" che Aurora Cacòpardo esplicita in modo emblematico e drammatico, il dramma della società di oggi, già emerso all'inizio della mia presentazione, a proposito della preponderanza delle mafie, della lotta non sempre vincente contro di esse, rappresentando esse una piovra dai mille tentacoli. Il nichilismo, il qualunquismo imperante, soprattutto nella società meridionale, la politica come professione non più come una vocazione, l'assenza di valori nobili e di ideologie nelle nuove generazioni, porta a un pessimismo a volte disperato che può spingere un trentenne come Carlo al suicidio. Ma il paradosso è che a uccidersi con un colpo preciso al cuore sotto due platani nella Villa comunale, dopo mezzanotte, sarà Stefano, che aveva salvato Carlo dall'insano gesto, ma che ripercorrendo come in un flash la sua professione di Giudice, era arrivato a determinare un bilancio passivo nella sua lotta alla criminalità, un bilancio che tra il dare e l'avere non lo aveva compensato per il tanto lavoro svolto, lui "uomo straordinario, energico, combattivo, un grande oratore", per dirla in poche parole un uomo dal forte carisma. Con questo racconto brevissimo di quattro pagine, Aurora Cacòpardo mette in luce tutto il suo malessere di cittadina, di intellettuale, di donna, verso una società malata di un cancro non facilmente estirpabile e che dà poco spazio alla speranza. La Prima parte del volume "Azioni" è la più ricca di racconti (dieci) ed emergono, in non pochi di essi, un'atmosfera spesso surreale, un certo pirandellismo di fondo, penso in primis a "Nero, il persiano", a "Menes il giustiziere", il cui finale è decisamente esilarante. In essi si trova l'humor noir, il genere giallo confezionato con malizia e con una scrittura decisamente favorevole a creare sorrisi di compiacimento. Lascio al pubblico di lettori, dopo questo breve excursus, il piacere di gustare questa pregevole opera di Aurora Cacòpardo, prima di tutto amica e poi infaticabile scrittrice. GIACOMO GARZYA PAN (Palazzo delle Arti di Napoli), 7 maggio 2016.
|
ALEXANDRA MITAKIDIS, QUANDO LA FOTOGRAFIA INCONTRA LA POESIA
|
PAGINE CRITICHE SULLA MIA POESIA DI LUIGI COSTANZO PER LA POESIA DI GIACOMO GARZYA Ogni parola, se poetica, è un segno spaziale della sua anima con la quale egli cala nel tema, nel testo, nella vita e infine in un terreno del pensiero in cui spande tanti chicchi di grano, come se fosse la terra del sole, che è terra di Napoli, sua, e quando spuntano quei chicchi danno vita alla natura che non accoglie zizzania, perché appare il verde che scioglie l'armonia nello spazio visibile degli esseri. Il frutto di natura diviene un frutto del suo pensiero che cerca immagini fuor di pula. La metafora serve a delineare la virtù poetica al di fuori di ogni corrente letteraria: egli cerca la storia o il passato per il presente e non le definizioni delle sue parole. L'insieme di ogni tema rivela spiritualità che accentua il lessico e lo richiama al suo destino ch'è la forma che il Garzya rende applicabile alla pura visione del suo io, che pura si universalizza con i richiami storici degli eventi che più lo toccano a fargli vivere i momenti belli dell'uomo e della natura che lo assiste con i colori che danno
forza al "mallo coriaceo / che è lui". egli comunica affetto e par che non ne chieda. In verità egli si richiama alla radice della vita, alla madre, al padre: senza retorica, è necessario dirlo, perché egli ha "desiderio tra le brughiere" per gli atavici odori selvatici...Meraviglia, poi, che proprio quegli odori lo spingono alla realtà del passato e del presente, cioè la storia di sé che non è se non con gli altri. E c'è un perché! I sensi or lo scuotono per farlo avviare verso un futuro che se è radioso oltre che ai genitori, lo è per la Donna, che
io vedo sublime. è vasta e non può chiudere la spiritualità dell'essere nei suoi stessi confini: gli vive dentro anche dall' esterno non solo in virtù dei suoi sogni, anzi la ragione stessa lo fa schiavo di amore per rendergli pan per focaccia; perciò nella solitudine si fa prendere dalla violenza dei fatti e di conseguenza dalla forza attiva delle parole da lasciarlo
in sé incantato di fronte al gran movimento di persone e al via
vai che tutti attanaglia. e quasi trabocca in complesse sensazioni - diciamolo pure seguendo le sue ambizioni umane e non letterarie - come Dante davanti a Monteriggioni. Così passando di luogo in luogo ritorna alla donna, all'uomo, alla storia e veleggia senza mai sfuggire alle sue umane responsabilità. Le sue visioni diventano naturalistiche senza falso romanticismo e si fanno sensibilmente vedere o è Procida o è Napoli: è che il Garzya, essendo di fatto salentino di Lecce, egli è nato a Napoli e da Napoli estende il suo vigoroso concetto del futuro, ch'egli vorrebbe tutto come una panacea d'amore, storicamente civile. Ma ad Otranto vi sono segni di vita e di morte e
non è facile disegnare sempre felice il futuro. oltre che filosofica più che di compiacimento letterario, sia per la necessità di ritrovarsi tutti in un mondo in parte alieno e in parte sensibilmente portato a costruirsi un'esistenza che permetta di superare la superficialità e la provvisorietà di ogni ordinamento sociale. La pace umana sarebbe il tema prioritario di ogni bene. Si sa da
dove si viene e non si sa mai bene dove si arriva, anche se due
sono i piani della felicità:
LUIGI COSTANZO Napoli, 17 dicembre 2002. |
L'umanesimo artistico di Giacomo Garzya è contemporaneità e non somiglianza di vita né con i genitori né con altri perché la vita è una parola magica che sorprende non solo i sapienti ma soprattutto gli esseri umani di normale valore dovendo tutti stringersi in un parco di sentimenti e di pensieri tradizionali e quotidiani, d'idee innovative e rare, di regole e non di modelli stabili della società a cui si appartiene per la volontà di conseguire una struttura umana reale e non metafisica, universale e non fideistica: su queste basi si eleva il principio della conciliazione umana, valida per la nascita e la rinascita delle passioni e delle virtù, della cultura nella varietà del presente in rapporto al passato. La vera umanità con il suo artistico umanesimo ( che deriva dal perenne umanesimo storico) redime se stessa e migliora operando negli studi delle forme continue del passato e nell'ammirazione di ciò che sorprese e continua a sorprendere l'uomo per essere e divenire più idoneo a intendere la vita degli altri: la patria, appunto, permette di salire e scendere la scala del futuro, unitario nel sublime e non nella miseria spirituale di un Continente in cui la vita di tutti merita la realtà e la verità nelle differenze ideali. Nasce tra natura e bellezza la felicità dell'innocenza che le leggi intendono proteggere e difendere facendo intravedere l'unità nel sublime e non nel sonno perenne. Il sonno perenne è stato ed è la causa di tutti i sogni per i quali credersi inviolabili in ogni attività ideale e pratica: il sonno è una forza della natura che l'uomo non può volere che sia contro natura né superiore alla natura stessa. L'uomo non può soccombere in sé da se stesso. Tutti i caduti sono redenti come oboli di una maldestra universalità nell'esercizio di guerre particolari: i giovani vengono chiamati non solo a studiare ma a volere ciò che gli altri hanno deciso di volere come dovere assoluto e indiscutibile, coscienti o incoscienti della caduta dell'uomo nel nulla eroico, anch'esso provocato dall'unità delle visioni e delle convinzioni, ritenute valide come quelle di Dio, mitiche, quasi l'intimità dei sogni potesse corrispondere alla verità del continuare ad essere in natura per una bellezza irraggiungibile nell'Orbe più che nel patrio Continente. La felicità non è un modello e perciò è inutile rincorrerla nell'assurdo, che non è il sublime. L'umanesimo artistico di Garzya non può coincidere con la grecità o con la romanità o la germanità o altro: esso è l'uomo apparente che vive per l'uomo immortale, quello che vede senza nostalgia il proprio divenire tra oggetto e soggetto in amore di convivenza perfetta: il suo divenire vivifica le patrie e le rifonda nell'armonia che è propria dell'uomo che fa del mondo la casa del futuro. Così ciò che è di Garzya è di tutti come amore della storia che gli appartiene e ne costituisce l'identità poetica oltre che politica nella libertà. Egli da poeta dice: "Clessidre / giro / nella notte / fonda / interminabile". È questa la sua prima forma umana: vivere l'interminabile in sé ma visibile nelle varie organizzazioni storiche, le quali escludono l'idea di potenza e di potere. Essa annullerebbe la libertà come forza nascente della creatività. La natura in sé è invincibile e è perciò diviene fonte di amore, mentre le guerre corrispondono al silenzio della natura, se il silenzio è il contrario della PAX. La guerra dissolve le gioie e i dolori, li distribuisce ai vinti e ai vincitori, dando per certo che la morte contro natura è il nulla eroico per gli uni e per gli altri. Morire nel sublime vale lasciar vivere l'armonia delle libertà che alimentano le umane radici della bellezza: Desiderio / d'erica / le mie radici... / a ritroso / la memoria... In Europa o nella Campine o nel Salento l'uomo non muore se non per rinascere nell'unità del presente con il passato da cui deriva per ordine affettivo, poi divenuto ordine di amore nella libertà come corda profonda che tocca quella / dei padri / dei padri: il passato diviene il luogo e il tempo dell'assenza del male come condizione vivificante della poesia dell'amore. Come si può essere? Pitagorici o socratici, platonici o cristiani, ma la grecità per la romanità non basta più a capire ciò che si è oggi nel sangue, nell'amore, nella cultura della libertà in patria per le patrie e per il cosmo: ci si sente comunque attratti nel sublime del passato. Ma se si rimane legati alla propria individualità, la vita diviene una colpa perenne anche per gli eredi, una hybris, si direbbe con retorica culturale, senza storia e senza umana percezione della realtà dei sentimenti già approfonditi nella consapevolezza dei modi di essere nei confronti del passato sì da superare ogni sventura personificata o personificabile contro ogni aspirazione di sublimazione continentale delle patrie, prima di coglierne i frutti : Ora / magico nord / a te / vorrei tornare, / dopo / quello / del Corno d'oro / che al Bosforo / già greco / s'apre. Eppure un po' per volta tutto ricorda il Sud come in Ascona. Alternativamente il poeta, fatto uomo di fede antica, dopo d'aver scoperto se stesso nelle radici, va dall'uno all'altro polo per ritrovarsi nella "solitudine" che da poeta richiama pensando al filosofo F.Nietzsche. E perché? Perché si rimarrebbe stretti nella morsa dei valori, ai quali si guarda come a vette da conoscere mettendovi i piedi fino a toccare il sublime della storia che l'uomo a valle talora oscura. A Cevedale torna chiaro il processo umano della poesia come storia ideale: Come Piramidi / le cime / - / bianco / - / solenne / nella tua solitudine / --- / indomito / resisti? Ciascuno di noi può diventare "prometeico" anche senza conoscere il Caucaso né l'Etna o Sils-Maria (Nietzsche): si rimane storditi in ogni caso se non si scende nell'assenzio / della volontà / che non muore. È qui lo Heimat o la patria umana, senza la quale ogni Prometeo vive assurdamente in catene; e, se non Prometeo, sarà certamente un Seneca, visto nello sfondo della storia come lo intende Rubens nel quadro che si può vedere e leggere a Palazzo Pitti a Firenze. A me pare vera questa storia perché l'ho vissuta in prigionia di guerra quando ebbi la certezza di poter perdere il senso della mia storia umana e delle mie radici avendo smarrito non solo la realtà ma anche il tempo della genesi ideale e pratica. Non solo Nietzsche ( che è un moderno) ma soprattutto Seneca è un maestro della sublime storia vissuta in solitudine venendo meno il potere della civiltà e con essa il valore dell'uomo civile. Il futuro resiste ai dogmi e si apre alla cultura della Scienza come Conoscenza che è autentica forza della luce che impera sulle cose naturali. Così come non c'è materia, se non c'è l'uomo, il futuro rimane assente a se stesso perché non si può vivere il passato in estasi perenne; e non è umanesimo artistico, potrebbe essere o tutto al più diviene forma fideistica del presente come si canta in Lungo Senna e in Place du Tertre, come in Vetrate gotiche e in Cote d'or, quando i vasi/ si dilatano / in pianto. Il passato, se è vero, dà forza al linguaggio creando nell'umano ordine né angoscia né aspettative improvvide per un sapere che nella realtà nulla muta. E siamo a Monteriggioni come vi fu Dante Alighieri per credere nel baluardo del nostro vivere. E si passa oltre per vivere il desiderio di quiete come in Punta Caruso e poi a Punta Imperatore spunta la donna che vira verso il verde per dare gioia alla vita che incoraggia a vincere le Assenze tra reti abbandonate sulla riva del mare. Il linguaggio non ammette amnesie: il passato o il presente è la riserva meccanica del domani anche quando la solitudine esplode alla ricerca del bello che in natura feconda sempre nelle radici umane così come nelle radici delle piante e degli alberi, isolati fuori della foresta, prima che nelle foglie, nei fiori. Il linguaggio delle radici estende il tempo e non lo rende definito, anzi lo purifica con il vento delle tempeste. E siamo alla Morte di Cristo per conoscere il pianto delle donne, chiodo dopo chiodo. A questo punto il poeta crede di nascere e rinascere nella virtù e si riconosce in se stesso più di quanto possa esigere la morale della religione di Cristo, sopraggiunto a comporre e a ricomporre il valore dell'esistenza. Il linguaggio, quindi, non è la pensione della morte, è la passione del vivere che assegna la ragione del diritto alla felicità e alla bellezza della natura che vengono intese meglio dal cielo e dalla terra di quanto possa l'impegno umano che deve al lavoro e alla donna la sua perfetta originalità se il vento non spazza la vita come si dice in Ortigia. Il consenso poetico continua in Terra greca e poi in Primavera e continua intensamente in Attimi e si trasforma in Gioia, se pure in languido piacere, in attesa di altre Tempeste di vita, le quali solo con il Feeling vengono contenute al pensiero di vivere con la donna per volgersi in un Attimo all'ardore del divenire uomo nella verità sociale dell'amore così come pulsa in Frammenti ansie e speranze da suscitare in Passione volontà di amoreggiare per il bene del suo futuro. Panacea d'amore la vita non è se la donna non apre il suo cuore all'uomo, anche se cosciente del suo umanesimo artistico: il maschio è un essere che il tramonto avvolge di continuo in un mistero, tanta è la pena che tormenta il sonno che può farlo scendere nell'abisso nero del tempo che feconda e attizza il presente in oblio: ed è Oblio. Subentra il Canto greco ed altre melodie scivolano in amore anche sapendo che non c'è un dopo. Ma Amalia vive davvero nel suo presente con il canto del destino comune, pur se lui dice: Il mio fado / nella penombra / è per te. La donna nella poesia del Garzya è un'anima potente e gentile, non un carattere, un volto, una maschera o una maniera femminea; è piuttosto una miniera interiore del suo destino che riporta alle radici l'esistenza per voler tanti luoghi conoscere per far sentire per la prima volta l'urlo forte / tra amore e morte. Dei due, dell'uomo e della donna, ognuno diviene un Medardo Rosso per il quale su una appare un velo, sull'altro la tela grezza: tale la vita rimarrebbe se non intervenisse il richiamo cosciente alla storia degli altri esseri umani tra vita e morte che per necessità storiche scalfiscono pietre dure come quelle che vengono dalla memoria preistorica, pur volendo talora apprezzare le ragioni d'un crociato vessillo per liberare il Santo Sepolcro. Ma è possibile in Otrànto, in Otranto dare storia al mito o agli eroi del mito? Fatto strano è che l'umanesimo artistico diviene civile nel far vivere i suoi antidoti nelle vicende napoleoniche. Ma non è finito! Anche la natura dà il suo segnale di vita progressiva e indomabile in Napoli 1822, così: Spento il Somma / l'altra bocca / spasmi eruttivi / nell'aria / esplode. Nel passaggio fra una storia e l'altra spunta per antitesi politiche Praga 1968 come primavera del socialismo umano, così come prigioniero di guerra l'avevo asserito in Kangra Valley e sentito solo come utopia. Ora non posso spargere parole per un giovane che apporta luce ad una realtà che sulle radici produce da sé coscientemente ciò che il tempo richiede agli onesti cittadini d'Italia e d'Europa: dare amore alla vita e onore alla morte, se nasce tra natura e bellezza la felicità. E mi pare questo un riquadro dato a Napoli o da Napoli della rivoluzione napoletana del 1799. M'impongo, appunto, di far parlare Il resto di niente di Enzo Striano. Forse è un modo semplicistico da critico come se non avessi tempo per esaminare i validi sensi dell'anima altrui e del pensiero che vi circola intenso per la necessità di andare avanti senza arrogarsi il vanto dell'eternità.
LUIGI COSTANZO Napoli, 12 settembre 2003
Queste
pagine sulla mia poesia furono pubblicate in GIACOMO GARZYA, POESIE
(1998-2010), Napoli 2011, M.D'Auria Editore, pp. 409-414. |
Lungosenna,
aprile 1987 |
![]() IISF, 2015 (Foto di Francesco Zoena) |
![]() IISF, 2015 ( Foto di Francesco Zoena) |
PREFAZIONE DI ENZO SANTESE AL MIO QUINDICESIMO LIBRO DI POESIE: GIACOMO GARZYA, DELOS (2015-2019), Napoli 2020, Iuppiter Edizioni.
"Le
mie poesie come le mie fotografie sono un giornale intimo che non
è intimista. Sin da piccolo mi è stato inculcato il valore dell'universalità
e quando scrivo fotografo, interrogo me, pensando agli altri."
Con queste parole Giacomo Garzya segna un itinerario di attenzione
per il lettore in una pagina d'avvio a una silloge del 2010 (Il viaggio
della vita, D'Auria editore); è una sintesi concettuale che costituisce
la nervatura primaria di una scrittura che mira alle profonde connessioni
tra realtà interna ed esterna, mentre il poeta cerca dentro di sé
quei punti di contatto con la realtà che giustificano un'appartenenza
a pieno titolo al mondo. Le liriche sono percorse dalla frequenza
di un dolore che diventa cangiante nei toni di sopportabilità e mutevole
nella gradazione della sua incandescenza; qui si sviluppa una serie
di annotazioni perentorie sulla dicotomia tra gioia e sofferenza,
sulle ragioni che fanno prevalere di volta in volta l'una polarità
emotiva sull'altra. Anche quando la metafora sembra raggiungere l'alta
temperatura di una rarefazione del pensiero, la realtà si presenta
nella sua essenza prospettata allo sguardo e all'animo del lettore
con il tono di una colloquialità mai vernacolare, semmai ridotta alla
cifra più prossima alla sensibilità degli altri, che l'autore si immagina
lo ascoltino per un confronto ideale sulle valenze dell'"esserci"
in una dimensione fisica che seduce con la sua avvincente bellezza
e abbatte con la sua spietata discrezionalità. Il sentimento percorre
nella vasta gamma dei suoi timbri tutta la riflessione di Giacomo
Garzya che è intellettuale legato alle sue radici, ma quel tanto che
gli consente di seguire la curiosità a conoscere le più diverse particolarità
naturali, artistiche e antropologiche. Sì, perché nella poesia c'è
l'uomo nella sua interezza, l'individuo che guarda a sé e, nel contempo,
è atomo di un universo fatto di mille diversità nelle cose, nelle
persone, nei loro modi di intendere l'esistente.
"Delos" qualifica questa silloge ed è titolo emblematico che racchiude nella brevità del nome la ricchezza di suggestioni di cui è capace l'isola greca e il mondo classico che rappresenta; nella sua fisicità dà corpo all'illusione dell'isola di Atlantide (immaginaria e simbolica nel pensiero foscoliano delle "Grazie"), dove bellezza e armonia costituivano l'essenza di un'atmosfera continuamente generatrice di vita. Il poeta conserva nella retina la visione spettacolare dei suoi marmi candidi, delle sue rovine che inducono il visitatore ad affidare alla fantasia il compito di una virtuale ricomposizione di quel paesaggio, dando ai resti di una civiltà millenaria la definita completezza delle origini. È un'avventura dello spirito che innesca una comunicazione diretta tra Giacomo Garzya e il genius loci, nei confronti del quale si pone in ascolto registrando quelle energie che servono a dilatare la tensione lirica in ogni luogo e tempo in cui la necessità del bello si evochi per la corrispondenza diretta con la realtà o per il rimpianto dovuto all'"assenza", tema portante di una frequenza emotiva portata ad attraversare in forma diretta o mediata tutta l'opera di questo autore. Il poeta, segnato dalla perdita della sua diletta figlia Fanny, sa che la giovane si è eclissata dalla possibilità di sguardi ed abbracci, ma è presenza costante in quei circuiti interiori dove le cose e le persone care saggiano il pregio dell'eternità. La perdita rende più poveri e, paradossalmente tanto forti da sopportarne i riflessi. "Come vorremmo riabbracciare / il sorriso di una persona cara / e non vederlo solo nella filigrana / della memoria." E il valore della vita si fa ancora più forte, anche quando è frantumato da azioni e proclami, "dove la propria vita si distrugge,/ per distruggere la vita degli altri." Ogni assenza genera un senso diffuso e inestinguibile di nostalgia, desiderio sottile in una percettibilità appena accennata, oppure prorompente per un'accresciuta sensibilità dovuta alla mancanza che può trasformarsi in nuova energia per innervare la presa d'atto di una necessità, quella di vivere pienamente anche per integrare il vuoto della sparizione con il pieno della poesia; questa non può essere medicamento di una lacerazione forte ma combustibile per fare ancora molta strada nella geografia complessa dell'esistente, dove il futuro si struttura anche nelle pacificate tensioni del presente. Il poeta affida all'opera il compito di esprimere specularmente i pensieri, gli stati d'animo, la trepidazione per una realtà che in troppe occasioni divarica dalle leggi della bellezza, facendo prevalere la logica della violenza che macchia la storia di efferata tensione al brutto. Ne è paradigma lampante l'Olocausto, obbrobrio di un'animalità intollerabile perché "un tempo lontano fuoco / e sacrificio di agnelli, / disciolse nel sangue gli umori cattivi / dell'uomo". Fortunatamente la compensazione, pur parziale, la si trova nelle meraviglie dell'ingegno, come è la "Primavera" di Botticelli, "fiorita" nella poesia Zefiro, "il leggero soffio da ponente / la primavera annuncia / con le sue ghirlande di fiori." Il tono elegiaco dell'opera si amplifica con la mente proiettata in terre lontane, a Gerusalemme, sulla spianata del tempio dove la voce di Dio è inascoltata da parte di coloro che ancora coltivano "odio antico, rabbia, contesa". I versi rispondono nel loro ritmo a una norma di musicalità che modula i propri registri in rapporto al soggetto ispiratore, variando anche le sfumature d'umore dentro la maggiore o minore brevità dei concetti tradotti in un'ampia antologia di soluzioni formali da una vocazione che spinge a trasmettere con immediatezza, non a "costruire" secondo mestiere. Da qui nasce una poesia pulita, scritta sull'onda di una generosità che dice parole per sottolineare la volontà dell'autore di essere nel mondo cercando una sponda per i suoi tremori e un confronto per le sue certezze. Giacomo Garzya apre in questa sua quattordicesima raccolta poetica un diario intimo, costruito sulle emozioni che in un determinato tempo e luogo hanno generato il flusso concettuale e lirico delle composizioni; li ha indicati puntualmente quasi a scandire il proprio vissuto sulla necessità di comunicare al lettore o all'ascoltatore la scintilla generatrice del suo sentire consegnato a versi estranei all'orpello decorativo. La conferma sta anche anche nel libro precedente, "L'amore come il vento" (Iuppiter edizioni), in cui i testi citano il motivo della morte, esaltando comunque il valore della vita. I paesaggi, anche se luminosamente tracciati in punta di penna, come dire in delicata strategia di evocazione, vivono su una fisicità che sfuma i propri contorni dentro un complesso di scrittura che plasma i toni secondo una variabilità che è direttamente proporzionale al veloce avvicendarsi delle stagioni, dei suoni, dei colori e si posano sulle evidenze fisiche e architettoniche dei luoghi, dove Garzya - sembra dircelo con la voce sommessa e forte della sua espressione regolata secondo le pulsazioni del mondo interiore - con la forza del suo dire sottolinea che la poesia abita ovunque e che al poeta è dato intercettare le sue vibrazioni più segrete. Come fa lui, con la semplicità di un racconto che parte dal dato autobiografico ma segna confini di un territorio dove è possibile una generale condivisibilità da parte di chi legge. E a Delos l'enigma della seduzione parte proprio dalle forme evidenti della bellezza lasciata in eredità da un mondo che compensa con i suoi riflessi la oppressiva opacità del presente. ENZO SANTESE
RECENSIONE DI LUCIA GUIDORIZZI A "DELOS". IN "CARTESENSIBILI" (WORDPRESS.COM), 24 DICEMBRE 2022. IL SACRO CENTRO DELLA POESIA. LUCIA GUIDORIZZI : A PROPOSITO DI "DELOS" DI GIACOMO GARZYA.
Delos, l'isola sacra,
luogo di nascita di Artemide e Apollo, i due gemelli divini, è
il centro politico e religioso, ma anche militare del mondo antico
da cui si dipana il viaggio poetico di Giacomo Garzya, evidenziandone
il profondo legame con la classicità. Nell'antichità
il nome di Delos, come quello dell'isola che costituisce la parte
più antica di Siracusa, era Ortigia, che significa "quaglia"
, l'animale sacro ad Artemide e che è simbolo della Dea. TEMPESTE Di Alessandro Scarlatti Marina del Cantone, 28 febbraio 2016
La vita del poeta è vissuta pienamente e con grande consapevolezza e apertura tra viaggi, città, amore, amicizia, interesse per l'arte, la storia, il mito e la letteratura e tutto ciò appare dai suoi scritti, ma non bisogna dimenticare che l'autore è anche un eccellente fotografo, capace di cogliere gli enigmi insiti nei volti e nei paesaggi. Nella sua arte, si opera una trasfusione continua tra parola e immagine. Come afferma Roland Barthes: "Ciò che la fotografia riproduce all'infinito ha avuto luogo una sola volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai più a ripetersi esistenzialmente. In essa, l'avvenimento non si trasforma mai in altra cosa: essa riconduce sempre il corpus di cui ho bisogno al corpo che io vedo; è il Particolare assoluto, la Contingenza sovrana, spenta e come ottusa, il Tale, in breve la Tyché, l'Occasione, l'Incontro, il Reale nella sua espressione infaticabile." (da La camera chiara). PANTHÉON Percorrevo con te Paris, le 24 mars 2016 TRAMONTO AL LUXEMBOURG Scherzavi
Paris, le 25 mars 2016.
MISERIA E NOBILTÁ Una cicca, sì proprio una cicca Napoli, 12 maggio 2016.
Oh, le campane di San Giusto
Affiorano immagini di grande sensibilità pittorica che assumono la valenza di una condizione esistenziale, come il rosso pompeiano che sfuma e sbiadisce al pari della bellezza in un volto femminile.
Il rosso pompeiano, Napoli, 20 marzo 2017
I suoi versi sono intrisi anche da un senso di solitudine e raccoglimento, condizioni precipue per l'espressione poetica.
Solinga Napoli, 3 dicembre 2017
L'ineluttabile entropia prodotta dallo scorrere del tempo ritorna condensandosi nella bellezza di Duino, luogo letterario e leggendario per eccellenza. DUINO Un alone romantico
Trieste, 4 luglio 2018
|
In CHIAIA MAGAZINE, Anno XV, n. 1, luglio-agosto 2020
|
PREFAZIONE DI PAOLA CELENTANO GARZYA AL MIO QUATTORDICESIMO LIBRO DI POESIE: L'AMORE COME IL VENTO. POESIE (2011-2015), Napoli 2019, Iuppiter edizioni.
IN
MEMORIA DI FANNY Quando mio marito Giacomo ha deciso di pubblicare in due volumi - questo, dal titolo L’amore come il vento, è il primo, l’altro, invece, vedrà la luce nel 2020 - le sue poesie edite ed inedite scritte tra il 2011 e il 2019 per commemorare il decennale della tragica scomparsa di nostra figlia Fanny (Napoli, 16 marzo 1983 - Castelvolturno, 6 febbraio 2008), ho subito pensato di contribuire anche io al ricordo con una riflessione a lei dedicata, sotto forma di lettera, affiancandomi così, in punta di piedi, alle tante poesie che Giacomo ha scritto per lei. Cara
Ninni,
PAOLA CELENTANO GARZYA |
PRESENTAZIONE DE L'AMORE COME IL VENTO DI ANNA PICCIONI
Apro
il libro e mi preparo a leggere versi, parole della poesia di Giacomo
Garzya. Con grande sorpresa la prima parte sono versi scritti in
francese, una lingua che amo e conosco. Il francese ha una sua musicalità
e un magnetismo che s'intreccia con le corde del cuore. I versi
incantano, prendono, trascinano verso l'infinito (p. 21). ANNA PICCIONI L'AMORE COME IL VENTO. POESIE (2011-2015), Napoli 2019, Iuppiter edizioni, presentato all'Università Liberetà di Trieste da Anna Piccioni (8 novembre 2019). |
Le
poesie di questa tredicesima raccolta del poeta Giacomo Garzya sono
state lette da me quasi "in itinere"; un muto appuntamento
sul cellulare notificato da un segnalino, mi invitava a leggere la
poesia del momento; come una cronaca quotidiana, ogni stimolo diventava
spunto per una trasformazione in versi del suo sentire.
E' stato facile penetrare nell'altalena dei suoi versi, che mi hanno indotto a riflettere ed hanno fatto emergere in me emozioni riposte in qualche angolo del mio animo, e sono tali riflessioni, tali emozioni che vorrei descrivere. Il mio punto di partenza è stata la "parola", essa può cambiare uno stato d'animo, può trasformare l'umore, alleggerire o appesantire un evento, influenzare il proprio quotidiano, la propria vita, la vita di un paese...ed altro ancora. A volte le parole possono suscitare reazioni che inducono chi ascolta ad usare altre parole, dando il via ad un dialogo, un alterco, un confronto. Le parole di un poeta, invece, quando penetrano nel profondo, inducono spesso al silenzio, quasi per non turbare il loro viaggio verso un luogo che è al di là della mente; esse hanno qualcosa di magico, possono trasportare l'essere umano in una dimensione di pura trascendenza, di religiosità, di connessione col divino che è in ciascuno di noi, dove non c'è più interferenza tra l'uomo e l'esistenza, ed il sentire personale diventa universale..... " qui...alla Corricella c'è tanta luce, tanta quanta può avere l'umore benevolo di chi guarda oltre le nasse, oltre l'orizzonte, ché è oltre l'orizzonte che puoi incontrare la tua anima...." "...chi è il padre di Dio? E tu rispondi, il cerchio , la retta, il punto non hanno un inizio, non hanno una fine. " ....queste parole inducono la mente a tacere, è nel silenzio che riecheggiano, è il silenzio che parla. Le parole di Giacomo sono campane tibetane... emanano cioè vibrazioni che hanno il potere di far affiorare grovigli di sensazioni...blocchi emotivi...profonde ferite mai dimenticate... Qui l'emozione diventa parola! "Le onde impazzite, racconta, del mare, quando esaltano e lacerano insieme l'anima, nel ricordo delle tempeste in ciascuno di noi, ...." "Il delirio del vuoto, l'angoscia, come quando ci si perde per strada, nel freddo gelo d'una metropoli e il cuore alla ricerca d'un segno impazza, d'un viso nella moltitudine,..." Le parole di Giacomo rivelano la forza del suo sentire.....ovunque ho trovato la qualità dell'amore, espresso in tutte le sue forme, come energia prorompente che straripa dai suoi versi, ...l'emozione qui è incontenibile come uno tsunami, travolge il lettore, lo conquista, qui le parole sono forza universale, come la gravità , il magnetismo... " Ti amo come l'acqua , il pane." "Le carezze degli innamorati riscaldano i corpi nudi.....nell'amplesso ritmato su una rotaia, che corre verso un piacere infinito". "Amo perdutamente riamato, libero, assolutamente libero, il mio amore..." "la vita è un dono per chi...ha tanta voglia di amare..." .....ovunque nelle poesie di Giacomo affiora un animo che non conosce finzioni o riserve, che non si nasconde, è un denudarsi, un abbandonarsi che assolve la sua natura umana e fa pensare alla qualità dell' "innocenza"...., non si copre l'innocenza, non simula, non si difende...l'innocenza vuole un cuore nudo...una mente sgombra da ipocrisie. L'uomo "innocente" non indossa un salvagente, si espone al rischio di delusioni e sofferenze e vive senza requie il suo sentire. "....ma tu c'eri, aggrappato al sonno, divorato dal sogno, che minava la tua pace, presago dei giorni a venire, o piuttosto specchio del tuo passato, ingombrante, agitato, come le lenzuola smosse, ......" "...lí sui pontili a guardare la tempesta, che deve passare...." "...come
pece il mare di notte, quando non vuoi ricordare il cuneo conficcato
nella tua mente....". ANNA ESPOSITO
Trieste, Piazza Unità d' Italia, dicembre 2021 ( foto di Giacomo Garzya ) |
LIBRI
I SASSI PARLANO I sassi parlano, ultima raccolta di Garzya, ma sarebbe assai errato ridurla a opera sentimentale, è piuttosto la rappresentazione di un viaggio che l'autore intraprende per il mondo, come mostrano le indicazioni geografiche a fine di ogni componimento: San Francisco, Santa Monica, Oswiecim ed altre ancora e che porta con sé il bagaglio di una importante intelligenza emotiva. Una
raccolta di poesie per vedere il mondo con il cuore
Bellissima la tua voce,
MARIA NEVE IERVOLINO Recensione
su "Chiaia magazine ", marzo 2017 |
IL MIO DODICESIMO LIBRO DI POESIE, Napoli 2015 ![]()
PREFAZIONE DI MARIA ROSARIA COMPAGNONE AL MIO LIBRO: GIACOMO GARZYA, PETTIROSSO, Napoli 2015, M.D'Auria Editore.
"Uno
spirito inquieto che non si ripiega su se stesso e che non rinuncia
mai a vivere nel mondo e col mondo", così Giuseppe Galasso
definiva nel 2001 Giacomo Garzya nella prefazione della raccolta
Maree.
MARIA
ROSARIA COMPAGNONE IL PETTIROSSO DI GARZYA di AURORA CACOPARDO, in CHIAIA MAGAZINE , dicembre 2015 “Pettirosso”
(M. D’Auria Editore) è il nuovo lavoro di Giacomo Garzya,
un patrimonio di unità e di storia, di sorprendenti intrecci
culturali. Sembra che tutto il libro sia avvolto in una ragnatela
di |
IL MIO UNDICESIMO LIBRO DI POESIE: GIACOMO GARZYA, UNA SPECCHIERA, Napoli 2015, M.D'Auria Editore. . La
poesia di Garzya
Pubblichiamo
in anteprima ampi stralci della prefazione di Aurora Cacopardo al
libro di poesie “La specchiera” di Giacomo Garzya (M.
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2015
PREFAZIONE A UNA SPECCHIERA DI AURORA CACOPARDO Giacomo
Garzya sembra un poeta della classicità greca, comparso per caso in
questo secolo, in un periodo di crisi umanistica e di valori, e ricorda
la stirpe di poeti pagani, che da un luogo appartato contemplavano
le stagioni, la natura, gli animali, i fiumi insieme alla dolcezza
degli amori, alla voluttà della carne, alle inquietudini dell'anima
e soprattutto allo scorrere del tempo
"su quella linea / che divide il possibile / dall'impossibile, / si demarca la tua voglia / d'amare una ninfa, / che è lì sulla battigia, / lì al sole tra l'acqua e la terra / tra l'orizzonte e il cielo…". In tutta la raccolta di sessantuno poesie (più quattro traduzioni in inglese di Jeff Matthews) circola sovente una riflessione malinconica ma non sconsolata perché è innestata nell'albero della vita la cui impronta è una barca che naviga oltre l'estuario dell'esistenza, per alcuni, per il Nostro oltre i mari del tempo e dello spazio, come cantava il grande mistico e poeta spagnolo Giovanni della Croce. La parola per il poeta è l'incontro tra luogo e tempo. Il mare è il labirinto ed è la ricerca della quiete; la navigazione è la metafora della vita che procede ora su mari tranquilli, ora in mezzo a tempeste. La malinconia non è mai una resa, per Garzya, bensì è piuttosto consapevolezza. Il sentimento del tempo che cammina tra le pieghe dei giorni e si fa memoria è un sentimento che ha attraversato tutto il '900 caratterizzando quelle metafore di straordinaria valenza estetica ed esistenziale. Molte poesie di Giacomo Garzya sono racconti marini e inni all'amore. Il lettore conoscerà il silenzio dei porti, lo stridio delle rondini e dei gabbiani, le voci dei pescatori, le voci degli amanti, conoscerà il terribile vento di scirocco, vedrà tutti i colori del mare: azzurro, blu, verde, nelle cui acque annegherà i suoi pensieri talvolta sconsolati. Il lettore godrà anche della limpidezza di un'alba come soffrirà della nebbia che tutto vela od offusca il cuore. Giacomo Garzya è come un viandante: si racconta, si dà un senso in un viaggio che diventa metafora del tempo. È un tempo che si raccoglie tra gli scogli della memoria che recita le parole con le quali recupera il senso e il perduto. Nella poesia Lo spazio offre l'interpretazione della propria esperienza al di fuori del tempo e della storia come esperienza assoluta dell'uomo. Affida, quindi, al suo vissuto biografico un significato che riguarda tutti recuperando una funzione sia alla poesia sia alla sua figura di uomo dolente: "…e se è vero / che la memoria / non ossida il tempo / è anche vero / che il luogo amato / caro è / a ciascuno di noi / e resiste all'oblio". Nella poesia che dà nome alla raccolta: Una specchiera, tutto sembra fuggire e scomparire, primo protagonista il tempo che muta e tutto fa mutare, come se la storia avesse smarrito il suo ritmo lineare e continuo. Avvertiamo la divinità nascosta del tempo, un passo misterioso e uniforme che spegne tutte le differenze tra il prima e il poi, tra passato e presente. Ma c'è anche la nitidezza della luce :"quando i campi sono battuti / dal sole / in un'orgia di luce e di vento / in un'orgia di vita". Quasi alla chiusura del libro di Giacomo Garzya tre poesiesono dedicate a Vienna, a Trieste ed alla sua Bora e al mito ed alle figure del mito che hanno evocato nel poeta tempi lontani : Saba, Svevo, Joyce, Kafka, Freud, Musil. Poeti, scrittori che hanno tramandato un pensare mediterraneo e poeti che sono rimasti dentro le maglie di una idea di consapevolezza ed il luogo e la memoria sono un incontro fatale che non solo si percepisce per un rimando di tempo ma si vive come una interiorità che diviene esperienza storica ed espressione di una malinconia. Il viaggiare per un poeta di confine o di frontiera come Saba ha sempre rappresentato un penetrare l'anima di un inquieto esistere tra gli urti della storia…"nella mia giovinezza ho navigato / lungo le coste dalmate"… i versi di Saba, che risalgono alla raccolta Mediterranee scritta nel 1946, sono un penetrare la metafora e la realtà del viaggio. E la storia è dentro il vissuto, è l'esistere dell'uomo in un confronto con le civiltà.L'omerico senso del "ritorno" ed il dantesco peregrinare alla ricerca di un "oltre" chiudono la suggestiva raccolta poetica di Giacomo Garzya tra il mondo mitteleuropeo e le onde del suo Mediterraneo, in un cielo di azzurri voli che trasportano nostalgie, sogni, l'amore per una donna e talvolta incantesimi.
AURORA CACOPARDO
|
PREFAZIONE DI JEFF MATTHEWS ALLA MIA DECIMA RACCOLTA DI POESIE: GIACOMO GARZYA, CAMPANIA FELIX, English translation by Jeff Matthews, Napoli 2014, M.D'Auria Editore (on the cover : Vesuviana, watercolour by Daniela Pergreffi).
"Translation from one language into another...is
like gazing at a Flemish tapestry "Poetry is what gets lost in translation."
(Robert Frost) Yet we all know the difference between a good translation
and a bad one. And we all know how indebted we are to the centuries
of translators who have given us with the literature of other cultures,
ancient and modern. In the sense of the 20th-century form known as "Imagism",
Garzya favors precision, even isolation, of single images and clear,
sharp language. As with all poets, he has a sense of cadence and euphony
but is less interested in formal meter and rhyme than in the brief
flash that lets the reader see something new. It might have been more
convenient to present his poems in paragraph form and call it a prose
translation. I have chosen instead to follow the erratic typographic
form chosen by the poet, single lines (even of a single word), one
above the other, to achieve the effect of a parade of images. I have tried not to inject myself into his lines and
have provided a few notes for some of his references that might not
be familiar to the non-Italian reader. To the extent that I have succeeded,
I am content; if I have failed, well, give my regards to Cervantes
and Robert Frost.
PRESENTAZIONE DEL MIO DECIMO LIBRO DI POESIE: GIACOMO GARZYA, CAMPANIA FELIX, English translation by JEFF MATTHEWS, Napoli 2014, M.D'Auria Editore (on the cover: Vesuviana,watercolour by Daniela Pergreffi) Giacomo Garzya, affermato poeta e fotografo napoletano, in questo libro Campania Felix ( Napoli 2014, M.D'Auria Editore), destinato al pubblico di lettori anglofoni e italiani che vuole approfondire Napoli e i suoi dintorni mitici (Capri, Ischia, Procida, Positano, ecc.) al centro della nostra cultura, mette in luce attraverso le sue poesie, vere e proprie immagini in versi, scritte tra il 1998 e il 2013, tradotte in inglese da Jeff Matthews, la bellezza e il significato storico e interiore di luoghi classici, quelli della Campania. I luoghi, i siti hanno sempre rappresentato e rappresentano momenti evocativi di grande valore emotivo sia per chi vi nasce, sia per chi li vive e sia per chi li visita da turista. I luoghi sono la storia dentro e fuori di tutti noi e di essi non si può fare a meno se è vero che la memoria non ossida il tempo, cioè se la memoria permette che il tempo inteso come vissuto di un singolo e della collettività resista all'oblio. Ciò vale per tutti i luoghi che hanno un vissuto da raccontare, Napoli e la Campania in questo libro. Giacomo
Garzya, noted Neapolitan poet and photographer, presents RECENSIONI DI AURORA CACOPARDO al mio libro fotografico: GIACOMO GARZYA, "LA MIA NAPOLI", con prefazione di RENATA DE LORENZO ( Napoli 2014, Arte Tipografica Editrice) e alla mia decima raccolta di poesie GIACOMO GARZYA, CAMPANIA FELIX, Napoli 2014, M.D'Auria Editore.
Una
tantum desidero partire dal volto dell'autore e non dalla sua pregevole
opera:"La mia Napoli".
Partiamo, dunque, dai candidi capelli che scoprono una fronte alta e dagli occhi azzurri che non guardano ma contemplano, occhi timidi. Ma solo i timidi, qualità sublime di questi tempi, riescono a scomparire per dare spazio agli altri; dietro la contemplazione c'è un "oltre" ed è questo"oltre" che pone al centro l'umanizzazione di una cultura. Le sue splendide foto - settantaquattro immagini- che la prefatrice, Renata De Lorenzo, definisce "un senso di racconto e ricerca di linguaggio",sono prive di presenze umane, ma sature della capacità di resistere allo scorrere del tempo e sono l'omaggio più bello, più sincero alla sua Napoli ed alla sua classicità. Sì, perché Giacomo Garzya ha focalizzato nella classicità la civiltà dell'uomo, non solo di ieri ma di sempre. La Napoli da lui ritratta è una splendida donna in attesa del nostro sguardo, è una città perfetta: si parte dalla fontana dell'Immacolatella, equilibrata, olimpica, per proseguire con via Caracciolo, porto, piazza del Plebiscito, zona che richiama la città angioina ed aragonese. Napoli si mostra senza veli, non ci sono elementi di disturbo. Lo sguardo di Garzya si sofferma su Castel dell'Ovo che è oggetto di inquadrature che "ne ripercorrono le stratificazioni architettoniche e politiche". Una città fuori dal tempo, dove gli spazi delimitati dall'architettura sono reinventati dagli scatti dello scrittore fotografo e vivono di vita parallela. Sono luoghi assoluti, modelli di immagine: il Vesuvio, sterminatore di una terra inquieta, le albe riprese dal corso Vittorio Emanuele, lo splendido veliero Amerigo Vespucci, sembra collegare il presente ad un passato antico. Garzya con i suoi scatti racconta il silenzio e la distanza e sembra invitarci ad impegnare la nostra capacità di osservazione spaziale, quindi di vita, trasformando le immagini in oggetti su cui meditare. Il lavoro si chiude con l'immagine in bianco e nero del "Dio Nilo giacente", ancora una volta il riferimento al Mediterraneo, l'identità della memoria e la capacità di penetrare l'anima delle civiltà. *** L'ultimo
lavoro di Giacomo Garzya,"Campania Felix", conferma la finissima
qualità stilistica e psicologica della sua scrittura. Al centro della
sua indagine è sempre il paesaggio: mare, porti, città,
colline, monti, ma questa volta la metafora del viaggio appare storica e metafisica insieme, la tematica talvolta elegiaca, i personaggi scolpiti nel tempo. Il poeta, in questa raccolta, abita quella sottile frontiera tra esperienza vissuta dell'io che si fa personaggio e la percezione del mondo con tutto il suo malessere ed il viaggio nella memoria ricostruisce il filo misterioso che lega l'amore al dolore. Per il poeta, forse, la morte è la tarma sulla trama non tessuta dalla spola ed allora quando la memoria evoca un'immagine, una voce, un sorriso, il lamento della cetra avvolge le pieghe del suo cuore non seppellendo il ricordo di una vita persa anzi tempo. Chiudo con una citazione che il professore Eugenio Mazzarella ha ricordato essere in quarta di copertina di Solaria del 1998, il primo volume di versi dell'autore: "Coloro i quali trovano nelle cose belle significati belli, sono persone colte. Per questi c'è speranza", da Oscar Wilde.
AURORA CACOPARDO In "Chiaia magazine", Anno IX - numero 5/6- luglio/agosto 2014, p. 22. |
NEL 2013
PREFAZIONE DI SILVANA LUCARIELLO AL MIO NONO LIBRO DI POESIE: GIACOMO GARZYA, UN ANNO, Napoli 2013, M.D'Auria Editore.
Sono
grata a Giacomo Garzya per l'invito a presentare il suo nuovo saggio
di poesie Un anno, non solo per la testimonianza di stima nei miei
confronti, ma soprattutto perché mi ha offerto l'opportunità di riavvicinare
e ri-esplorare il mondo della poesia che percorre dimensioni emozionali
con quei tracciati che arrivano diretti "al cuore".
Per me che poeta non sono e che avvicino nel mio lavoro psicoterapeutico la complessità del mondo umano con i suoi numerosi volti, spesso cupi, indecifrabili ed invalidanti lo scorrere dell'esistenza, questo testo mi ha permesso di assaporare e ripercorrere itinerari interni con modi e linguaggi che solo la poesia può descrivere con efficacia. Leggendo il testo da subito si è immersi in uno scenario suggestivo e corposo, fatto di immagini, ma soprattutto di odori, sapori, colori e suoni in cui umano e natura si incontrano per consegnarci una miriade di stati d'animo dalle mille sfaccettature. Sullo sfondo di tutte le produzioni poetiche della raccolta, si staglia il dolore silenzioso e riservato dell'autore, cui è permesso accedervi in punta di piedi e con estremo rispetto. Il dolore che traspare nelle poesie di Giacomo Garzya appartiene a quella dimensione tragica dell'uomo che si interroga sul suo esserci nel mondo, sul mistero della vita e della morte, sul significato di esperienze e vicissitudini che popolano l'esistenza di ciascuno, cogliendoci sorpresi, disperati o muti nel "patire" la vita. La nostalgia del passato, la forza delle emozioni, l'incedere superbo della morte nei sentieri della vita, si intrecciano nelle varie composizioni, lasciandoci rapiti nel riprovare e ritrovare atmosfere del presente e quelle del tempo che è andato: amore, solitudine, inquietudine, stupore, inganni, malinconia, condivisione, solidarietà e molto altro ancora si ritrova nel testo del poeta. L'errare dell'uomo dentro e fuori se stesso è portato da immagini di luoghi e terre inondate dal sole, in cui sacro e profano si mescolano e si fondano nel Luogo della : " terra madre, lì dove ha tutto origine". L'amicizia di affetti lontani e sempre presenti, il sorriso misterioso del femminile, la bellezza sconvolgente della natura, introducono l'autore in altri luoghi esterni ed interni che gli propongono il movimento incessante della vita che si condensa nel silenzio opprimente della morte. È quanto si ritrova nel componimento Il Buio nero nell'immagine della grotta di Pertosa o sotto S.Anna di Palazzo: "quando si spengono le lampade , il silenzio assoluto al bivio è opprimente, così deve essere dentro una bara quando si spengono gli occhi per sempre". Per l'autore il tempo scandito dall'orologio avanza con impassibile ineludibilità ed in esso giocano, come dentro le maglie di una sottile filigrana, il dolore della mancanza, della perdita, delle separazioni; il tempo interno, invece, rimane custodito nel presente vivo e costante della mente: potere della memoria, archivio della memoria, condivisione rappresentano le uniche sponde di spazio senza tempo, in cui passato e presente si coniugano nel : "niente è morto". Tempo, spazio e memoria mi sembrano, infatti, gli assi portanti su cui Giacomo Garzya costruisce il suo linguaggio poetico dove il dolore di cui ci parla, e penso alla poesia Cinque anni, non arriva solo dalla mancanza, ma dalla tirannia dell'oblio che interviene inesorabile e con ritmo implacabile a consentire per chi rimane in vita l'amara e struggente consapevolezza della propria sopravvivenza. La carica emozionale che suscita la produzione poetica di Giacomo Garzya mi ha riportato alla mente l'intimo legame esistente tra poiesis e sogno, messo in risalto anche in numerosi studi psicoanalitici. Infatti, Jung in particolare, fra tutti gli psicologi del profondo, segnalando nel 1961 una significativa analogia tra poesia e sogno, scriveva nel suo saggio Simboli ed interpretazioni dei sogni che: "si ha l'impressione che nel sogno sia all'opera un poeta". Al riguardo mi piace ricordare un passo illuminante di F.Hölderlin in cui l'autore descrive mirabilmente la poesia come capacità di percepire in maniera nuova ed originale il mondo e le cose del mondo: "Quando il poeta, in tutta la sua vita intima ed esterna, si sente unito con il puro risuonare della sua sensibilità originaria, e si guarda intorno nel mondo, questo gli appare nuovo e sconosciuto; la somma di tutte le sue esperienze, del suo sapere, della sua intuizione, del suo pensiero, l'arte e la natura, come essa si presenta dentro e fuori di lui, tutto gli si presenta come per la prima volta e, proprio per questo, nuovo e indefinito, ridotto a pura materia e vita…". Nel sogno l'inconscio si manifesta attraverso costruzioni simboliche e metaforiche che parlano per immagini al sognatore ed individuano, se ascoltate, nuovi fronti e risposte ai problemi della vita; allo stesso modo, come ci ricorda Hölderlin, la poesia in quanto comunicazione e linguaggio, prefigura e consegna soluzioni originali agli interrogativi dell'uomo. Nel linguaggio della poiesis e del sogno si intrecciano metafore che si espandono e si rivelano in immagini che aprono uno scenario di orizzonti semantici, da cui è possibile creare una nuova trascrizione di se stessi e del mondo: entrambi in quanto pensiero-sentire vivo, rappresentano quel dinamico fluire che lambisce inesauribili sponde a nuove prospettive. Per dirla con Galimberti lo spazio del simbolo è il luogo della: " parola-guida (Leit-wort) che non dice, non enuncia, si limita a mostrare una connessione, o meglio una vicinanza, una prossimità che custodisce una ricchezza di significati non contenuti dalla parola, ma in cui la parola è contenuta" . In questo senso la parola, nella poesia come nel sogno, diventa da parola parlata parola psichica che rivela ed illumina le immagini, incontrando le cose e rinvenendone il senso che, come rileva Galimberti : "non è ancora del tutto spento nella parola". Il linguaggio "originario" della poesia e del sogno rimandano all'immaginazione creatrice, quale unità in cui l'esperienza stessa si muove e si svela; esperienza, come osserva Masullo, di un sapere simbiotico che precede la scomposizione della realtà in tanti variegati aspetti, in cui tutto, circolando in ogni parte, lascia emergere il Senso. Ritornando al tema del Tempo, tra i protagonisti delle poesie di Giacomo Garzya, mi sembra che l'autore intenda questa dimensione come collegamento tra cambiamenti, come legame tra eventi trasformativi della propria vita, densi di rinnovate progettualità. Il Tempo, da questo vertice di lettura, è l'accadimento con cui il nostro essere è invaso e scosso dalla differenza e dalle oscillazioni della vita; esso, come affiora con toccante profondità dalle poesie del testo, scompaginando le nostre continuità e certezze, porta in sé la percezione dolorosa della lacerazione e della rottura, ma anche il riavvicinamento alla vita ed all'ascolto delle differenti note del nostro esserci nel mondo. In tal senso il linguaggio della poesia e del sogno esplorano quella dimensione interna che coglie e dà forma ad emozioni, segnalando il richiamo ad una differenza che, se avvertita, è capace di parlarci e farci intravedere altri confini. Nella nostra epoca in cui è forte la tendenza a negare e ridurre le differenze, il linguaggio della poesia e del sogno esprimono in modi diversi, il desiderio della vita che, come osserva G. Gaglione: "non può che desiderare di differenziarsi e di continuare ad essere vita nel differenziarsi, proprio nel suo essere nel mondo e nella storia".. Queste mie brevi considerazioni, sollecitate dalla lettura del testo Un anno, mi appaiono un importante e profondo invito a riflettere su quanto, specie in un'epoca di disorientamento, possa costituirsi come autentico riferimento. Tale potrebbe essere quel Senso che sgorga dalla poesis e dalle immagini del sogno, come nuova sondabilità alla significazione, in grado di ri-assegnare a ciascuno un orientamento interno che appare proprio nel momento in cui l'uomo si rivela a se stesso. Di questo sono grata all'autore. Napoli 11.11.2013 SILVANA LUCARIELLO
RELAZIONE DI EUGENIO MAZZARELLA, tenuta all'Istituto italiano per gli Studi Filosofici il 7 febbraio 2014 UN CEROTTO SULL'ANIMA. UN ANNO di Giacomo Garzya.
Anche
quest'ultima raccolta di Giacomo Garzya, Un anno, conferma il dettato
poetico che gli è proprio, e che già Giuseppe Galasso individuava
per tempo nella prefazione alla sua seconda raccolta di poesie,
Maree, del 2001: la semplicità pensosa del dettato poetico, che
non perde tuttavia vivacità nella compostezza del verso di "spontanea
levità". Così si esprimeva Galasso, e i versi anche di questa
raccolta ultima confermano in pieno, credo, quel giudizio. EUGENIO MAZZARELLA
TRADUZIONE IN INGLESE DELLA RELAZIONE DI EUGENIO MAZZARELLA SUL MIO LIBRO: GIACOMO GARZYA, UN ANNO, Napoli 2013.
Once
again, this latest collection by Giacomo Garzya confirms what we know
his poetry to be. As Giuseppe Galasso noted some time ago in his preface
to the second collection of poems, Maree, from 2001: the poetry is
thoughtfully simple without losing liveliness and "spontaneous
levity". Those were Galasso's words, and I believe that these
latest verses totally confirm that judgement.
EUGENIO MAZZARELLA (traduzione in inglese del compianto amico Mark Weir)
RECENSIONE DI AURORA CACOPARDO AL LIBRO: GIACOMO GARZYA, UN ANNO, Napoli 2013, M.D'Auria Editore. "Le sorprese di Garzya" Il nuovo saggio di poesie di Giacomo Garzya ci dà modo di apprezzare la capacità con cui ci racconta una serie di sensazioni uniche dell'ansia metafisica e di una inquietudine che lo sorprende di continuo. Garzya ci offre con il suo "corpus poetico" ("Maree", "Solaria", "Passato e Presente", "Il mare di dentro","Il viaggio della vita","L'amour et le violon"ed ora "Un anno") una compiuta immagine di sé, della sua visione del mondo non felice, non idillica ma rischiarata da lampi di spiritualità che gli offrono la possibilità di fulminee intuizioni nell'indagare il mistero della vita e della morte attraverso felici sintesi poetiche:"...il buio è impenetrabile/ nella grotta di Pertosa/ o sotto Sant'Anna di Palazzo/ quando spengono le lampade... così dev'essere dentro una bara/ quando si spengono gli occhi/ per sempre"."...uscire dal dolore/ quando le frazioni di un minuto/ sono come ore.../ e ti sei svegliato e non riesci più a dormire/ e tu vorresti sbattere i pugni contro il muro/ perché arrivi l'aurora e l'alba e il giorno/ perché la luce ridia senso alla realtà delle cose...". Dai lavori di Garzya viene fuori la figura del poeta e dell'uomo di lettere dalla complessa personalità come si arguisce da liriche quali: "Saudade", "Amici miei","Homo patiens", testi di profonda meditazione, di armonia; ed ancora: "Masada","Ein gedi", "Kubbet al Sakhra", miti riletti e reinterpretati alla luce della sua sensibilità storica e consegnate nelle loro multiformi valenze all'uomo d'oggi. Leggendo le quarantasei poesie del saggio, emerge chiaro come l'essenza e la qualità emozionale delle immagini siano il risultato di una interiorizzazione dell'ambiente e del paesaggio, sia esso Lisbona, Gerusalemme, Tivoli, Roma, Capri, Napoli, Salina e Lipari sentito sempre come parte dell'anima. Il poeta è affascinato dall'azzurro del mar Tirreno, del Mediterraneo, accarezzato dal lieve vento evocatore di memorie. Tuttavia i luoghi, senza la magia della parola,sarebbero nulli. E' la parola, la fisicità della scrittura, a dare alla poesia di Garzya vitalità, energia, sicurezza, proprio attraverso il suo immergersi nella natura. Immagini oniriche, che tuttavia non sempre alleviano la sofferenza del poeta. Apparenze misteriose che si rincorrono, frammenti di ricordi e di volti, di raggi di luna e mormorio di vento colti e fermati dalla parola magica della poesia, unica a scorgere "la divinità che è dentro il paesaggio". AURORA CACOPARDO Articolo, in "Chiaia magazine", IX, n.1/2, febbraio/marzo 2014, p.30. |
GIACOMO GARZYA, L'AMOUR ET LE VIOLON, Napoli 2012, M.D'Auria Editore.Con estrema umiltà ed in punta di piedi mi accosto alla nuova raccolta di poesie di Giacomo Garzya" L'Amore
e il Violino", onorata di aver potuto assistere alla genesi
di questi versi in qualità di amica e di lettrice. racconta a se stesso ancora una volta, i pensieri e i sentimenti sedimentati nella sua mente fioriscono, nero su bianco, come la cascata di perle di una collana rotta all'improvviso e la sua mano
diventa muscolo involontario guidato dal cuore. di fili che si intrecciano tra loro a formare una trama di parole, un quadro dipinto attingendo colori da una tavolozza, quella della vita, che appare spesso sbavata e stinta, altre volte, invece, carica
di mille colori sgargianti. dei
versi, il variare della loro lunghezza ed il loro diverso timbro
indicano una passione formale mai sopita che in nessun caso soffoca
od altera la dolcezza, lo spessore e il vibrare dei contenuti. ai versi ma definiscono piuttosto stati d'animo che si alternano frequentemente. Ai momenti di passione e di speranza fanno infatti seguito attimi di tristezza e solitudine, come avviene nell'animo
di tutti gli esseri umani: la poesia di Garzya diventa fotografia
dell'anima ed è impossibile non rispecchiarvisi. ("I
nostri sentimenti segreti usciranno con le rondini per librarsi
nell'aria"), disillusa solitudine ("Tu non arrivi, tu
non verrai, perché non dovevi partire…"), a ritroso nel viaggio
dell'anima.
anelito di lotta per apprezzare le bellezze della vita ("E
le labbra cercavano le labbra, la pioggia battente") e viverle
pienamente. all'anima,
che permettono di riflettersi guardandosi in uno specchio, di sentirne
il profumo sfuggendo al controllo dal tempo. che il perno dei suoi versi sia l'amore espresso in un linguaggio immediato, essenziale eppure profondo ed attento. Le poesie d'amore possono essere una risposta emotiva ad un evento o ad un momento passionale, altre volte sono più riflessive e cercano di donarci il senso di un'esperienza che si dilata ad un campo più ampio della vita, ad un amore senza tempo ed universale dove l'immagine di una donna evocata è solo il pretesto, lo spunto per ritrovare il battito del nostro cuore spesso sopito e la consapevolezza che le emozioni sono linfa vitale dei nostri giorni. Amore
nel senso ampio, dunque, che include una profonda rivalutazione
dei valori primari della nostra esistenza, quali il tema della morte
e della fede ("Non passa un giorno senza che lei non preghi
per me"), del ricordo della terra belga dell'infanzia e dunque
delle proprie radici ("Correvo per la Campine…. sulla sabbia
bianca d'erica coperta".), dell'amor filiale per il padre ("un
bacio filiale per un padre inerme"). Ed ancora amore per il
valore dell'amicizia ("i raggi del sole una bella amicizia
riscaldano") e per la pienezza della vita ("ora ti abbraccio,
fuoco…ed è musica il crepitio dei tronchetti che ardono"). Non citerò i versi specifici, mi pare di limitare, se non addirittura di "profanare", un ricordo ed un amore che appartengono solo a Giacomo e sua moglie Paola. Il lettore rintraccerà facilmente le
due delicatissime poesie e saprà comprendere. EMANUELA D'AMELIO
RECENSIONE AL LIBRO: GIACOMO GARZYA, L'AMOUR ET LE VIOLON GARZYA, POETA PELLEGRINOIl mondo intero, scriveva Camus è disegnato come un grande punto interrogativo che ci costringe a levare la testa verso l'alto. Leggendo le poesie della raccolta "L'amour et le violon" (D'Auria Editore) si ha la sensazione che l'autore cerchi mediazioni verso l'infinito, piste di decollo verso l'assoluto. Giacomo Garzya si racconta, si dà un senso, in un viaggio che diventa metafora del tempo, tempo che si raccoglie tra gli scogli della memoria, le cui parole recuperano il senso ed il perduto. Alcune poesie fanno riaffiorare alla memoria una musica leggera, invitante, antica : parole semplici e necessarie. Esse parlano di colori, di fiori, delle nebbie di Venezia che si sveglia dal suo torpore, del giardino della Menara, dei tamburi a Djemaa, delle spezie del souk. È la memoria del poeta, è la sua capacità di tracciare per immagini la forza dei sentimenti ed a comporre figure di gioia e di malinconia. In altre liriche della raccolta tutto sembra immobile, nell'attesa di una partenza temuta, di un addio che lascerà la fragile quiete del cuore dell'uomo. Il poeta diviene viandante, tra il vissuto e la contemplazione per cercarsi, in un andare che deve somigliare ad un pellegrinaggio. Giacomo Garzya, viandante-pellegrino, conosce le pieghe della solitudine senza mai assentarsi dalla vita. Anzi resta dentro la vita anche quando le parole spariscono e restano solo i desideri, i sapori, i destini. Gli orizzonti del poeta sono nel viaggio anche se è convinto che gli approdi non sono sempre consapevolezza e che gli arrivi si intrecciano con le partenze ed i ritorni vanno sempre oltre "Itaca". Non so se Giacomo Garzya abbia superato Itaca o sia dentro Itaca, so che questo libro va oltre il misterioso che incanta. AURORA CACOPARDO in "Chiaia Magazine", marzo 2012, p. 30. |
PREFAZIONE DI LUIGI MASCILLI MIGLIORINI AL MIO SETTIMO LIBRO DI POESIE: GIACOMO GARZYA, POESIE (1998-2010), in appendice pagine della critica alla mia poesia e alla mia fotografia, Napoli 2011, M.D'Auria Editore.
Geografie dell'anima, si direbbe con espressione forse abusata di poesie come quelle di Giacomo Garzya che ora possiamo leggere tutte insieme, quasi come se un gigantesco atlante dei sentimenti si distendesse per intero davanti ai nostri occhi e noi fossimo chiamati a fissare su di esso le nostre personalissime bandierine, dopo aver dato -come è doveroso- attenzione alle bandierine già fissate dall'autore della mappa, cogliendo punti comuni di navigazione e di sosta, ma anche dissonanze inattese di orientamento e di approdi. I luoghi -lo ha osservato già gran parte della critica- giocano, infatti, un ruolo fondamentale nella poesia di Giacomo Garzya. A cominciare dalla ripetuta e mutevole Grecia che viene incontro al lettore nelle prime pagine di questo libro dove -per ragione non intenzionale di cose- la geografia si fa storia e i luoghi diventano memoria. Come accade in Methoni, poesia dell'inizio, nella quale è chiamata a dar conto di sé non solo la Grecia dei miti, ma anche quella delle cronologie più vicine, che allo scontro tra Venezia e il Turco ("Methòni superba/di San Marco/la guardia/a bada tenesti l'offesa/del turco spavaldo"). E non potrebbe essere diversamente se per un attimo il nostro sguardo si insinua a cogliere, dietro le parole di poesia, le parole in prosa, la ricerca e la riflessione critica che in questi stessi hanno occupato Giacomo Garzya, storico della religiosità nel Mezzogiorno moderno. E da storico il Tempo, e il congedo da esso -"E tu/Spyridion/avanti l'antica gola -recitano i versi di Kardamyli- un mondo/che non è/più dispensi/Alito, assenza, brezza/il tamburo del tempo/batte/quello che va"- si piegano insieme al mutamento, giacché illusoria è -mi sembra di poter osservare- anche per il poeta la speranza - quella di Diafani e del suo Kafenenion- che il Tempo possa davvero arrestarsi. Tempo, dunque, non immobile ma storico. Tempo che scorre, anche se l'Egeo carico di ritorni (ma così dovrebbe pure dirsi del nostro più vicino Mediterraneo, tra le Sirene sorrentine e il Salento, vagando tra le isole che portano il nome fascinoso di Capri, di Ischia, di Procida) sembra, talvolta, capace di negarlo. Così gli uomini stanno -nei versi di Giacomo Garzya- "ciclicamente/offesi a morte/a strappi si cresce". "Cinicamente -prosegue Uomini- offesi a morte/e/temprati/dalle umane miserie/si aspetta/ il verdetto/ del tempo". Convinzione che si ripete nella poesia Autunno dove, a ricalco di versi illustri, torna l'immagine della precaria condizione umana esposta, come tutti sappiamo, al mutare inesorabile delle stagioni e, dunque, "al primo soffio cade". Il vocabolario di questo Tempo non è fatto di parole dettate da saggezza moderna, ma da una saggezza (si direbbe meglio una sapienza) assai più anonima e antica: "Non sono/i de La Bruyère/ -leggiamo- a sistemare/i precetti/del buon vivere/bensì pelle rugosa/di vecchia devota". Asperità, che è -lo confesso- tra le poesie che ho più amato, riprendendo, quasi, le cadenze della grande tradizione moralistica, epigrammatica, inverte intenzionalmente rapporti e gerarchie, lasciandoci intravedere dietro confortevoli accoglienze, l'autentica durezza delle relazioni in gioco: "Lo spigolo/nel quale spesso/m'imbatto/lo preferirei/di piperno/non di torba/grassa e corrotta". Se si parte da questo punto; se si assume l'ingannevole verità della dolcezza, allora si spalanca la tragedia muta dove il dolore privato e quello collettivo, toccandosi, non possono che dar ragione al grido che è nei versi di Il ghiaccio e il fuoco: "Il massacro nei Campi fatti di forni/invece, inermi e ignare masse ha colpito/E' stato del tutto insensato/e nessuna giustificazione a ciò/l'uomo,la storia, possono dare". Sembra quasi che, ad un certo punto, il Nord, "il magico Nord", si rovesci negli orizzonti azzurri del sentimento mediterraneo, li sconvolga e li riveli. Altre geografie dell'anima cui è destinato il compito di fare da contro canto alle immagini troppo rassicuranti, troppo pigre e felici, dell'esordio mediterraneo. La "ricerca del molteplice" (così nella bella A Fanny per i suoi vent'anni) conduce, così, a peripli che sono ritorni in luoghi (Alimuri, la Grecia, ancora le isole del nostro Golfo) di cui sarebbe difficile dire se sono immutati o stravolti, come sarebbe ugualmente difficile dire se i sentimenti che vi presero forma un tempo siano ora, ritornando, gli stessi o ci siano, in qualche modo, inattesi ed estranei. Il divenire è: torna proprio dalla Grecia (Diakofti) una lezione che in queste ripetute navigazioni è talvolta duro, ma sempre necessario apprendere. E quanto duro sia stato per Giacomo è pudico tacere. Il tempo scorre, sconvolge gli spazi, il dolore disordina gli alfabeti. La parola si fa meno sicura del proprio valore, della sua capacità di suturare ciò che gli anni implacabilmente squarciano. Rimarranno le tue parole?: l'interrogazione si fa vertiginosa quando lambisce il Verbo, così rispondendo "E' fatale che tutto finisca/tu dici, Agnello, della mia anima/anche il sole e gli astri tutti/Nel vortice abissale tutti/nell'elicoide del Palazzo d'Urbino tutti/come in Matteo/con "il cielo e la terra passeranno"/Ma nel dopo rimarranno le Tue parole?/A volte se penso alla storia degli uomini/credo che Tu sia morto invano". Ma la risposta vera è quella che Giacomo Garzya ritrova sul passo dell'Autoritratto di Salvator Rosa: Aut tace/aut loquere/meliora silentio. "O taci, o dici cose migliori del silenzio": cifra estrema e ragionevole della poetica colta di queste pagine, quasi di un Wittgenstein reso, e arreso poeta.
LUIGI MASCILLI MIGLIORINI
RECENSIONE DI AURORA CACOPARDO AL LIBRO: GIACOMO GARZYA, POESIE (1998-2010), Napoli 2011, M.D'Auria Editore. GIACOMO GARZYA, IL POETA ARGONAUTA L'invenzione artistica procede per due strade diverse: la prima è la mimesi, che viene dall'osservazione del mondo e dalla capacità di raccontarlo.Il libro di poesie di Giacomo Garzya presenta cinque raccolte dai nomi significativi: Solaria, Maree, Passato e presente, Il mare di dentro, Il viaggio della vita, tanto da definirlo un raccordo tra la memoria che si fa nostalgia e il sogno che recita mistero. Ma è anche il tempo del viaggio, un lungo racconto che raccoglie echi di emozioni, sentieri incantati, ricordi di mare, di amori, di stagioni, di deserti, di sogni. L'analisi dei testi di Garzya, frutto di una sorvegliata interiorizzazione, induce a pensare ad un itinerario, lungo il quale si incrociano il grido di morte che sale dal mondo dei vivi e l'inutile dolore del vuoto per la perdita della persona cara che produce l'inevitabile sperdimento esistenziale per cui la vita sembra essere solo un vuoto deserto. Un segno fatale, un segno di morte, ma presentato con calmo distacco che suona, nel contempo, come serena accettazione dei limiti umani e come sfida al potere che ci sovrasta. Grande è la capacità del poeta di descrivere il mondo. Si tratta di descrizione fatta per immagini. L'invenzione artistica procede per due strade diverse: la prima è la mimesi, che viene dall'osservazione del mondo e dalla capacità di raccontarlo. La seconda è l'opposto della prima cioè dilatazione e trasformazione del mondo, moltiplicazione del reale ed in ciò si concentra il meglio degli spunti creativi del poeta. Se il nuovo nasce dall'antico, ed il futuro proviene dalla memoria del passato, Garzya compie il suo viaggio da argonauta dentro la poesia dei lirici greci. Scrivere è andare lungo i sentieri del tempo, per il poeta il tempo si è lasciato intrappolare dal mistero e dal segreto delle parole che si fanno sangue, vita e sogno negli anni lunghi della memoria che è in noi con le sue immagini e i suoi personaggi. In un tempo in cui le memorie si custodiscono. Ed è questo il tempo del viaggio. AURORA CACOPARDO Articolo pubblicato in "Chiaia magazine", VI, n. 5, maggio 2011, p.40.
RECENSIONE DI ENZO PAGLIARO AL LIBRO: GIACOMO GARZYA, POESIE, Napoli 2011 La colorata sensibilità di Giacomo GarzyaÈ difficile dire "cose migliori del silenzio" ma Giacomo Garzya c'è riuscito: per i tipi (preziosi) di D'Auria ha dato alle stampe ma soprattutto alla passione per la poesia la raccolta completa di tutti i suoi viaggi poetici più qualche inedito. E nonostante i tempi diversi di produzione e i diversi paesaggi che si incontrato in questo viaggio e gli innumerevoli ritratti che appaiono sulle pareti della memoria e gli stati d'animo che vibrano lungo tutto il libro e i sentimenti che aleggiano sereni tra una pagina e l'altra... ecco nonostante questa (apparente) diversità rimane ben visibile la traccia indelebile della sua sensibilità. Sì, questa è la chiave di lettura delle poesie di Giacomo Garzya. E se è vero che "il dolore disordina gli alfabeti" è anche vero che le parole di Giacomo hanno ricomposto - nonostante il dolore - un alfabeto tutto suo: l'alfabeto - appunto - della sensibilità. Sensibilità "fotografica" lungo i sentieri dell'amata Grecia e la ricolorata (da lui) Procida; sensibilità "fisica" nei ricordi di e con gli amici; sensibilità "metafisica" per richiamare alla memoria di tutti l'adorata Fanny; sensibilità "lirica" davanti al prodotto dell'arte di altri; sensibilità "allegra" nel dare alla vita lo spessore che merita, comunque. Che il silenzio non ti faccia mai da guida, Giacomo. ENZO
PAGLIARO
|
PREFAZIONE DI RICCARDO MAISANO ALLA MIA SESTA RACCOLTA DI POESIE: GIACOMO GARZYA, IL VIAGGIO DELLA VITA, Napoli 2010, M.D'Auria Editore.
L'eco
del viaggio, lungo ormai e ininterrotto, che Giacomo Garzya compie
da molti anni e che risuona inesorabile ancora in questi versi, è
un'eco di passi umani. Non solo di reattori, motori a scoppio o ruote
di treno, ma eco di passi lenti e cadenzati di un uomo che a piedi
percorre la sua strada, e poiché cammina a piedi ha modo e tempo per
fermarsi a guardare, a sentire e a ricordare.
RICCARDO MAISANO L VIAGGIO DELLA VITA, Napoli 2010.
ROSSELLA GALLETTI Articolo pubblicato sulla rivista "Chiaia magazine", anno V, n. 6-7, giugno-luglio 2010.
ACOPOESIA DI GIACOMO GARZYA, RICORDANDO SUA SORELLA CHIARA, SCOMPARSA PREMATURAMENTE L'8 APRILE 2019. Tale poesia ha dato anche il titolo alla sua raccolta di poesie IL VIAGGIO DELLA VITA, pubblicata nel 2010. IL VIAGGIO DELLA VITA A Chiara sorella
Pianure,
monti, pascoli, fiumi da ponti di ferro, Tante
sequenze, quanti ricordi, In
lotta col tempo che passa, Né
togliendone il tappo, i mali del mondo e la morte
in GIACOMO GARZYA, IL VIAGGIO DELLA VITA, Napoli 2010, M.D'Auria Editore, p. 74.
|
PREFAZIONE DI EUGENIO MAZZARELLA ALLA MIA QUINTA RACCOLTA DI POESIE, GIACOMO GARZYA, PENSARE È NON PENSARE, Napoli 2009, Bibliopolis.
Anche
questa quinta raccolta di versi di Giacomo Garzya, Pensare è non pensare,
conferma il dettato poetico che gli è proprio, e che già Giuseppe
Galasso individuava per tempo nella prefazione alla sua seconda raccolta
poetica, Maree, del 2002: la semplicità pensosa del dettato poetico
che non perde tuttavia vivacità nella compostezza del verso di "spontanea
levità". Una poetica colloquiale che anche in questa raccolta
trova nella topica del viaggio il suo scenario e la sua metafora;
e nei suoi resti - lacerti di memoria, di visioni, tracce consegnate
a "ricordi" recati dagli amici - i segnaposto di sentimenti,
volti, paesaggi amati, talora visti negli occhi di un altro, nella
privata geografia degli affetti (Sabbie e pietre, una poesia tesa
e tersa, ne è un catalogo esemplare: Tutte care/ le sabbie, le pietre
della mia vita... il bellissimo attacco ).
Questa ordinata topica del viaggio, che scandisce la sua cronologia interiore ancorandosi alla certezza del calendario degli eventi, è il riparo nella parola allo strappo esistenziale percepito sempre - ma sempre sommessamente - in agguato, e proprio alla vita degli umani: Siamo punti finiti/ in ciò che non è spazio/ o granelli ocra in un deserto infinito/ privo di speranza?/ La vita che viviamo e la morte/ sono le uniche certezze ( meditazione che annota "Ho tanta fede in te" di Montale in Parafrasando una poesia ). Sullo sfondo di tutto la sconsolata visione "domestica", detta con calma assoluta al proprio gatto (Il rigo agli occhi,/ la linea tra i visibile/ e l'invisibile demarca,/ come lo zenit/ che è al centro delle tue pupille,/ mio Arturo...; e ti viene di pensare alla costellazione, linea luce nel cielo nero notte), che alla "vita", a quella senza pena del "puro animale" - se poi c'è, puro e senza pena - l'Io dell'uomo e il suo affanno, il pur condiviso battito del cuore, è " alla fine... indifferente,/ invisibile, senza materia". E quell'"esisti solo tu" è detto forse a se stesso, ad ogni vivente chiuso nella sua pena. Il calendario di questi due anni di poesia si strappa agli inizi del 2008, con la morte tragica dell'adorata figlia Fanny. Il foglio strappato è al 5 di febbraio, in una poesia presaga - A Nostri Morti - scritta altrove da dove si doveva stare, se solo sapessimo qualcosa del "cammino", nonostante "muscoli e tendini forti", e "volontà,/ per vedere e sentire e pregare" (Il tuo profumo è la lavanda...). L'essenziale di questo foglio strappato è nella dedica, che ti muore il cuore: all' adorata figlia Fanny, Angelo del Paradiso, segno premonitore/ della sua tragica fine, avvenuta poche ore/ dopo, lontana dal suo papà. Allontanarsi da quel "lontana" è un calvario, salito solo aggrappandosi alla figlia perduta e presente, che già forse si sapeva di dover seguire nella memoria: Da tempo, da Fanny, avevo in testa/ il Cammino ( Saint Jean-Baptiste, scritta per motivare la decisione di intraprendere l'estate precedente il Cammino di Santiago già percorso dalla figlia ); per ritrovarne l' "idea", l'aspetto, il volto nel pensiero che "cede" di pensare - unico modo in fondo di sopravvivere: Il filo di Arianna, me, alla luce della ragione ha riportato,/ ma la realtà è comunque che tu non apri a chi ti bussa/ e non torni alla tua casa. Tu non tornerai più gioia/ delle gioie, perché l'atroce sogno è cruda realtà. Dopo questa data nella raccolta, qualunque cosa ci sia, c'è solo Fanny; in movenze pascoliane, dove il filo che lega passato e presente, la cesura della perdita, e sutura e tiene aperta la ferita è il ricordo, l'amore di lei raccolto nel cuore. E' "il suo sorriso, il suo parlare sensato,/ il suo benevolo, umano affetto di figlia" (Non una stella stanotte...) , che fa argine all' "ansia di perdersi" in una vita ormai troppo vicina al vuoto delle ombre: il ricordo, il gomitolo del cuore, l'unico calore nella sinestesia del sentirsi e del sentire il mondo, l' "esterno", gelato in una lapide. E' la gelida simmetria tra l'inizio del dettato poetico del 16 marzo 2008: Sulla nuca vento marino,/ freddo,/ come lo sono io dentro,/ oggi che avresti festeggiato/ i tuoi venticinque anni./ Riscaldami col tuo sorriso,/ ora che senza di te ho perso/ una parte di me... e la chiusa del componimento del successivo 22: Il marmo canoviano, che ho davanti,/ la fantasia anima, come i sensi, e calore dà/ al cuore e alla mente, non così la tua lapide,/ senza speranza, che al tocco dolce della mano,/ resta gelida e muta. "Freddo" , nella poesia, è isolato, è scolpito da solo. Uniche fonti di calore al cuore "ricordo" e "arte", il vetro della poesia che immalinconisce il ricordo e in una qualche misura lo fa dolce, ripara di lacrime gli occhi che bruciano: L'amore era nel tuo vivere,/ come acqua fresca di fonte,/ che purifica dal male./ Ben chiara avevi l'essenza/ dell'umana natura e agivi/ perché potesse in meglio mutare ( Un Fiore Reciso ). Ma questo si può guardare, si può reggere solo attraverso i vetri della poesia, chiusi nella stanza del cuore che ricorda, tra le mura dell'artificio, la parola, che Dio o gli dei hanno voluto dare agli uomini con "la vita che viviamo e la morte...uniche certezze": INTRA MOENIA Piovischio
di tristezza imbeve Ora
l'acqua impreveduta travolge Dietro
un vetro riparati
Se il miracolo regge, possiamo ancora essere qui. EUGENIO MAZZARELLA
PRESENTAZIONE DI PENSARE È NON PENSARE A PALAZZO SERRA DI CASSANO, Napoli 2009. Nella prestigiosa cornice di Palazzo Serra di Cassano, all'Istituto italiano per gli Studi Filosofici, il 24 aprile 2009, Patricia Bianchi e Valerio Petrarca hanno presentato il quinto libro di poesie di Giacomo Garzya, "Pensare è non pensare", con prefazione di Eugenio Mazzarella ed edito da Bibliopolis (Napoli 2009), dopo "Solaria" (1998), "Maree" , con prefazione di Giuseppe Galasso (2001), "Passato e presente" (2002), "Il mare di dentro" con prefazione di Patricia Bianchi (2005). "Pensare è non pensare", uscito a un anno dalla tragica scomparsa di Fanny Garzya, figlia dell'autore, avvenuta il 6 febbraio 2008 a Castel Volturno, è connotato da due anni di poesie e l'ultimo è pregno del disastro umano che egli ha vissuto, come si evince anche dal titolo della raccolta. Patricia Bianchi, che già aveva presentato, in questa stessa sede "Il mare di dentro" nel 2005, ha espresso la sua esperienza di lettura delle poesie, che vengono definite di complessità e dense di significati, che portano a riflettere su ciò che è l'esperienza umana di Giacomo Garzya, in un momento storico della sua vita, che lo porta a rivedere il suo concetto di natura, non vista più come trascendenza, ma come realtà tragica, realtà della coscienza dell'uomo, e in questo si è riferita ad Auerbach. Un libro, nella sostanza, del presente, aperto ad interrogativi esistenziali, più che nelle raccolte precedenti, dominate dal paesaggio. Interrogativi posti a se stesso, ma anche agli altri. Patricia Bianchi si è soffermata, poi, come all'inizio lo stesso autore, e poi Valerio Petrarca, sul titolo della raccolta e ne ha messo in luce la profondità, nella misura in cui esiste il dolore col quale dialogare con la parola, per continuare a esistere. La poesia è fatta di parole, senso della vita, conoscenza, che creano un contatto con noi stessi, in rapporto con la natura e con gli altri da noi. Patricia Bianchi ha concluso l'intervento dicendo che la raccolta di Giacomo Garzya è un libro di comunicazione e di conoscenza, con parole pure nella loro essenza, è una poetica pura. Valerio Petrarca, antropologo, dopo la lettura di una scelta di poesie da parte di Paola Celentano, madre di Fanny, e di Giovanna Marmo, anche lei poetessa, ha posto l'accento sulla capacità evocativa della poetica di Giacomo Garzya, rapportando la poesia e il mito e soffermandosi sull'anticogito cartesiano, a proposito del titolo della raccolta, nel suo significato più profondo, coerente con la coerenza della poetica di Garzya, vista come sottrazione al dolore, come dimensione che trattiene dalla coscienza, quindi dal dolore.Valerio Petrarca ha testualmente detto "noi siamo dove non pensiamo, quindi un Cartesio messo sotto sopra". L'ultimo anno della raccolta consente di articolare il rito protettivo dell'esistenza attraverso uno stile proprio, che permette di dare senso alle cose, proprio quando non pensiamo. L'autore ha chiuso la serata, leggendo e commentando alcune poesie significative della sua poetica, alla luce del tragico evento che ha sofferto e ha confermato l'interpretazione che delle sue poesie hanno fatto i presentatori.
RECENSIONE DI FABRIZIO COSCIA A PENSARE È NON PENSARE NAPOLI CULTURA - IL LIBRO I versi di Garzya e il canzoniere della vita perduta Ciò che colpisce, nella poesia di Giacomo Garzya, è la sua nitidezza o, come scrive Eugenio Mazzarella nell'introduzione al nuovo volume Pensare è non pensare (Bibliopolis, pagg.71, euro 6,50), la "semplicità pensosa del suo dettato". Sono versi di una immediatezza difficile da incontrare nel panorama assai variegato e confuso in cui si dibatte ormai da decenni la poesia contemporanea, eppure colti, pieni di reminiscenze e citazioni della tradizione lirica italiana e classica : dal Montale più colloquiale a Pascoli. Da Leopardi fino a Catullo. Quest'ultima raccolta è un canzoniere dalla doppia anima. Una prima parte caratterizzata dal topos del viaggio, declinato come metafora, evocazione sensuale di paesaggi amati ("Montauban", "Karnak"), e intima geografia degli affetti ("Sabbie e pietre", col suo suggestivo incipit : "Tutte care / le sabbie, le pietre della mia vita"). Poi c'è una cesura improvvisa, ma in qualche modo annunciata in versi che hanno una oscura quanto terrifica forza presaga (soprattutto in "Ai nostri morti") : la tragica scomparsa dell'adorata figlia Fanny. L'irruzione della morte trasforma i versi di Garzya in un sommesso e commovente epicedio in memoria della figlia : "Il tuo sorriso / il tuo gioioso canto / a tanti mancano", scrive in "Un fiore reciso", come a voler rendere collettivo, universale, un dolore privato. Laddove prima dominavano colori e "giochi della luce" e il grido festante della vita ("Hey Jacomo!! / jejeje") adesso c'è solo il freddo del "vento marino" che gela dentro e una memoria che si fa allo stesso tempo consolazione e dolore. L'io poetico si muta, così, in un Orfeo alla disperata ricerca della sua Euridice nel regno dell'Ade, con l'unica arma del suo canto. Salvo ritrovare una scintilla di speranza nell'armonia degli elementi ("Sopravvivere"), pur nella consapevolezza di una coscienza per sempre dilacerata ("L'io diviso"). FABRIZIO COSCIA Articolo pubblicato su "Il Mattino" del 3 luglio 2009.
RECENSIONE A PENSARE È NON PENSARE DI ANTONELLA CARLO Garzya, antologia in memoria di Fanny CULTURA. "Pensare è non pensare" è l'opera in versi del professore napoletano dedicata alla figlia scomparsa un anno fa. "È un'occasione per ritrovare il passato". Una scrittura poetica che palpita di antichità e memoria : Giacomo Garzya, professore e fotografo, esperto cultore di storia sociale e religiosa, ha appena pubblicato la silloge in versi "Pensare è non pensare" (Bibliopolis, 2009). La raccolta perfeziona un lungo lavoro di scavo nella dimensione della letteratura, come testimoniano le precedenti opere "Solaria" (1998), "Maree" (2001), "Passato e presente" (2002), "Il mare di dentro" (2005) : oggi, con la tragica maturità legata alla scomparsa dell'adorata figlia Fanny, Garzya ritrova un'ispirazione nuova, che fonde scrittura e sapere, esperienza diretta e cultura classica. Manifesto dell'intera antologia è, come dice lo stesso Garzya, il componimento "Forse oggi la natura non vedo più", in cui lo scrittore riflette la visione di un cosmo costellato da intimi desideri : in questa prospettiva, luoghi come la toscana Cala Violina e la nostra vicina Marina del Cantone diventano paesaggi surreali di un viaggio suggestivo e simbolico. "L'esperienza di fotografo - dice Garzya - mi fa immaginare la letteratura come un'occasione per andare innanzi grazie a scatti diversi, spostandomi dai luoghi esterni agli angoli labirintici della sensibilità individuale". Per il lettore che affronta l'affascinante parabola di "pensare è non pensare", ecco un iter particolarissimo, capace di ritrovare le matrici originarie della natura: se Miseno rimanda al patrimonio della mitologia classica, anche l'isola di Capri nasconde musicali ed antiche leggende popolari, mai dimenticate alle soglie del terzo millennio. "Questo libro - continua lo scrittore napoletano - si è innestato su una tragedia privata, che ha sconvolto la mia famiglia. Eppure la scrittura è stata un'occasione per ritrovare il passato, per dare un tributo alla figura straordinaria di mia figlia, una ragazza solare ed appassionata, negli studi così come nella vita". Scorrendo le pagine della raccolta ci si ritrova quasi spiazzati da uno stile lineare e chiarissimo, che rispecchia, con dotta armonia, una profonda e sapiente fisionomia culturale. "In tutto ciò che scrivo, - racconta Garzya - traspongo i retaggi di esperienze per me fondamentali, come i viaggi in Europa compiuti da piccolo con una famiglia che era, nella sua stessa struttura, cosmopolita. "La mia opera letteraria è, pertanto, un tributo amorevole a quanto mi ha fatto crescere , nella cultura e negli affetti". La bella prefazione, che il professore Eugenio Mazzarella dedica alla raccolta è, dunque, un ulteriore tributo all'armonia limpida della parola di Garzya : grazie a questa geometria, che contiene dolore e dramma, lo scrittore ci regala un unicum letterario, in grado di rimanere sospeso tra gli abissi sentimentali dell'animo umano. La semplicità delle passioni, trasposte con saggezza sulla pagina letteraria, è il vero valore dell'opera di Garzya : a chi legge resta il privilegio di abbandonarsi all'incanto, lasciandosi trasportare sull'onda di venti eterni, che spirano con la stessa e suadente forza dai tempi del Pelide Achille. ANTONELLA CARLO Articolo pubblicato sulla rivista "Chiaia Magazine", Anno IV - n.5, maggio 2009, p.12.
|
PRESENTAZIONE DI EUGENIO MAZZARELLA DELLA MIA MOSTRA FOTOGRAFICA "IL MARE CHE NON SI VEDE" A PALAZZO SERRA DI CASSANO, Istituto italiano per gli Studi Filosofici (Napoli, dal 24 febbraio-al 18 aprile 2006). Il mare di dentro, il mare che non si vede di Giacomo Garzya
Il
mare che non si vede. Questo è il titolo delle foto che Giacomo Garzya
mette in mostra questa sera e che coprono quasi tutto l'arco pubblico
della sua attività di fotografo, che io sappia. La prima mostra di
Garzya, Forti affetti, è del 1994, la prima di queste foto è del '95.
Nello stesso decennio all'incirca Garzya pubblica quattro raccolte
di versi, Solaria (1998), Maree (2001), Passato e presente (2002),
Il mare di dentro, l'ultima, del 2005, che anche nel titolo è vicinissima
alla mostra di questa sera. Per avvicinarsi alle foto di questa sera
- al di là della loro bellezza, della raffinatezza delle immagini
- per entrarvi dentro credo sia necessario, almeno per accenni, riferirle
al percorso di questo decennio di Garzya, fotografo e poeta. Lo chiede
lo stesso criterio antologico impiegato, una diacronia tematica. Dalla presentazione della mostra "Il mare che non si vede", Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Palazzo Serra di Cassano. Napoli, 24 febbraio 2006. EUGENIO MAZZARELLA
TRADUZIONE IN INGLESE DELLA PRESENTAZIONE di EUGENIO MAZZARELLA della mia mostra fotografica IL MARE CHE NON SI VEDE, ALL'ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI, PALAZZO SERRA DI CASSANO (Napoli, dal 24 febbraio-al 18 aprile 2006)
Il mare di dentro, il mare che non si vede di Giacomo Garzya Il mare che non si vede [The sea that can't be seen].
This is the title for the photographs that Giacomo Garzya puts on
show this evening. As far as I am aware they cover virtually the whole
arc of his public activity as a photographer. His first exhibition,
Forti affetti [Strong affections], was held in 1994, and the first
of these prints dates from 1995. In these same ten years or so Garzya
has published four collections of poems, Solaria (1998), Maree [Tides]
(2001), Passato e presente [Past and present] (2002), and Il mare
di dentro [The sea within], 2005, and there is an obvious association
between the latter and this evening's exhibition. To approach the
photographs in front of us, to enter into them, as it were - leaving
aside considerations on their sheer beauty, or the exquisite quality
of the images - I believe it is necessary, at least en passant, to
refer to the way in which Garzya, the photographer and poet, has evolved
in this decade. This surely is a corollary of the anthological criterion,
based on a thematic diachrony, he himself has chosen. From the presentation of the exhibition "Il mare che non si vede", Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Palazzo Serra di Cassano. Naples, 24 February 2006 (traduzione in inglese del compianto amico Mark Weir). EUGENIO MAZZARELLA
IL MARE CHE NON SI VEDE La fotografia aiuta a sentire il mare La
passione del ricercatore che diventa cura del particolare. Quella
che ti fa alzare all'alba per giorni solo per trovare la luce giusta.
La passione del visionario che vuole catturare l'immagine vista dall'anima.
Quella del viaggiatore in cerca di emozioni da fissare su una diapositiva.
È dalla passione, quella per la fotografia, che nasce "Il mare
che non si vede", la mostra di Giacomo Garzya di scena nelle
sale di Palazzo Serra di Cassano, presentata nel corso di un incontro
con il fotografo/poeta, moderato da Enzo Pagliaro, con l'intervento
di Eugenio Mazzarella, preside della facoltà di Lettere della Federico
II, e Maurizio Ribera d'Alcalà, oceanografo e docente all'Università
Parthenope. La personale propone tredici immagini - stampa digitalizzata
su supporto 50x70 - riassunto estremo ed esempio significante dei
tredicimila scatti realizzati negli ultimi venticinque anni da Garzya.
E di cui l'autore ricorda con stupefacente precisione non solo tempo
e luogo, ma anche esposizione, diaframma, pellicola ed obiettivo.
Uso intenso e studiato della luminosità: scatta seguendo, ed inseguendo,
la luce con la sua Reflex il fotografo napoletano, utilizzando un
esposimetro mentale - il suo cervello - piuttosto che meccanico. E
si fa affascinare dal mare, passione dominante, presenza forte ed
immanente che rappresenta ancora per certi versi una grande incognita,
un mondo da scoprire ed esplorare. Evocativi i titoli scelti per le
immagini della mostra, logica conseguenza del rapporto visibile tra
fotografia e poesia nel suo lavoro. "Il progetto che ho in cantiere
già da qualche tempo riguarda i quattro elementi - racconta l'autore
- ho sempre amato viaggiare e continuerò a farlo. La scelta di esporre
solo tredici fotografie - aggiunge - è stata dettata dalla volontà
di non disperdere l'attenzione dello spettatore". Sentire il
mare, percepire l'infinito attraverso luce e colore. Ecco allora la
risacca marina sulla spiaggia rossa di Santorini, una barca solitaria
in mezzo al nulla, le romantiche iridescenze delle acque appena increspate
dalla brezza e le atmosfere cupe dei gorghi di Capri ("Sono rimasto
quasi sorpreso dall'impatto così forte dei faraglioni"). Fino
ai ricercati giochi di luce sull'acqua, con l'obiettivo che curiosamente
attraversa una caraffa di vino per fotografare il percorso del sole
al tramonto.
TIZIANA
TRICARICO
IL MARE CHE NON SI VEDE Napoli:
le foto di Giacomo Garzya "Il
mare non bagna Napoli", titolava mezzo secolo fa la scrittrice
Annamaria Ortese. Coperto dalle navi alleate in occupazione nel porto,
non poteva essere liberamente osservato e goduto. E anche oggi il
mare di Napoli c'è ma non si vede: quasi un trucco, un'illusione.
Città di mare, ma chi se lo ricorda? Per molti è una cartolina. Di
fatto le acque sono estranee a molti partenopei, tanto che fino a
poco tempo fa raccontare di un tuffo consumato a Mergellina o a Posillipo
equivaleva a narrare un'autentica impresa. Innocenza del caso, è proprio
Napoli ad ospitare la mostra fotografica di Giacomo Garzya "Il
mare che non si vede", in esposizione a Palazzo Serra di Cassano
fino alla fine di marzo. Tredici fotografie per una rassegna che è
una costola di un precedente lavoro dell'artista, dedicato al tema
dei quattro elementi. Le riproduzioni sono state selezionate per suggerire
un nuovo e privilegiato punto d'osservazione, quello dell'uomo sull'elemento
marino.. In questo caso è il mare delle coste greche come di quelle
campane o altre, molto più esotiche e dai nomi incomprensibili, a
prestarsi a questa prospettiva antropocentrica, suggerendo a Garzya
quell'idea di bellezza "che ha senso solo se c'è l'uomo che sente
e vede. Egli solo è in grado di percepire, di cogliere l'altro da
sé. Senza l'elemento uomo niente avrebbe senso specifico; con la sua
presenza l'armonia della terra diventa sensibile, tangibile e può
suscitare forti emozioni". E il segno di Garzya indica proprio
che l'uomo manipola la natura, anche solo osservandola. Alcune fotografie
sono più esplicite : in esse il mare si riconosce, quasi con sollievo,
tra i colori alterati, tra le luci che quando non sono in bigio e
scuro, hanno i riflessi febbrili del rosato e caldi dell'oro fuso.
In altre immagini bisogna avere bene in mente il titolo della mostra,
per accorgersi del mare. Un'acqua nascosta, lunare, molto sensuale.
Acqua e sale, un voyeur ci va di lusso, vedo e non vedo, la più classica
delle fascinazioni. Intuire e non focalizzare, perché l'occhio vuole
illudersi di guardare solo ciò che desidera e quando lo desidera,
perché la sottrazione acuisce la malia e l'intervallo che corre tra
la sparizione e la riapparizione è un ammaliante mistero, consumato
in un frangente incontrollato. E se il mare è un mistero, Garzya lo
avverte non di meno come un "archetipo, la ragione di tutte le
cose, nell'acqua innanzitutto, quella che ci avvolge e ci protegge
sin dalla nascita, quella che muta ad ogni soffio di vento".
GIOVANNI CHIANELLI Articolo pubblicato ne "la rivistadelmare.it", 2 aprile 2006.
IL MARE CHE NON SI VEDE "Il
mare che non si vede" di Giacomo Garzya, fotografo e poeta napoletano,
è la mostra che si è tenuta dal 24 febbraio al 18 aprile 2006 presso
l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici a Palazzo Serra di Cassano.
Estratte da un lavoro sui quattro elementi, le tredici fotografie
esposte evocano un percorso di riflessione su ciò che può offrire
la natura all'occhio che guarda con attenzione, al viaggiatore che
non corre e che ama contemplare. È un mare astratto, interiore, che
pone l'uomo a considerare il tutto in modo antropocentrico, moderno.
Le chiavi di lettura di queste opere artistiche, nell'intento dell'autore,
sono molteplici, ma su tutte prevale " l'idea che la bellezza
del mare, come di ogni cosa, ha senso solo se c'è l'uomo che sente
e vede. Egli solo è in grado di percepire, di cogliere l'altro da
sé. Senza l'elemento Uomo niente avrebbe senso specifico; con la sua
presenza l'armonia della terra diventa sensibile, tangibile, e può
suscitare forti emozioni". Le fotografie esposte, stampate in
formato 50 x 70, rappresentano la sintesi estrema di un lungo percorso,
quello di chi ha sempre cercato " l'archetipo, la ragione di
tutte le cose, nell'acqua innanzitutto, quella che ci avvolge sin
dalla nascita, quella che muta ad ogni soffio di vento".
A queste considerazioni dell'autore, vorremmo aggiungere che noi frequentatori dell'Appennino della Campania, abbiamo particolarmente caro il nostro mare che è specchio di quei monti. FRANCESCO del FRANCO Articolo pubblicato ne "L'Appennino meridionale", Anno III, fascicolo I, Napoli 2006, p.117.
RECENSIONE AL MIO SITO WEB www.maree2001.it Giacomo
Garzya e il moto-immagine Il frammento, sia "scritto" che "fotografato", è il genere prediletto (e predi-guardato) dall'artista partenopeo Giacomo Garzya, classe '52, professore di lettere, poeta, saggista, ma soprattutto diarista dell'anima. La sua indole di riempitore di taccuini la si può comprendere meglio sfogliando www.maree2001.it, il fresco e nuovo sito (webmaster Enrico Veneruso) dove i versi e gli scorci dell'autore trovano la loro fortunata isola on-line, contaminata esclusivamente dal virus della memoria. Tanto mare, giochi di onde, rocce, sole a mille, trionfi di fiori, vulcani ed eruzioni di nuvole, cieli in progress, acqua, aria, terra, fuoco: l'album intimo e non intimista di Garzya raccoglie un'infinità di scatti che trova il suo approdo, anche se l'impressione che si ha è che ogni scatto, superando il già visto input contemplativo, non approda ma parte. La poetica dell'artista napoletano non prevede il fermo-immagine perché si basa sul moto-immagine: tutto ciò che fotografa non si ferma, ma continua ad andare (occhio alla sezione "elements") e a muovere luce (vedi la sequenza di immagini dedicata a Ischia, Capri e Procida e il "ritratto" del Mar Rosso). "Il mio percorso poetico e fotografico - afferma Garzya - vuole essere come un diario dell'anima, il che potrebbe far pensare alla monotonia, ma se il ricorrere delle stagioni è lo stesso, le situazioni sono sempre diverse e anche il tono e la luce cambiano". Pensiero chiaramente impressionista che mette le scarpe e procede in ogni carrellata di foto, senza mai tentennare e smarrire la trebisonda. Il sito - che prende il nome dalla raccolta di poesie "Maree", pubblicate dall'autore nel 2001 - ha il talento dell'immediatezza: è facile da consultare e la struttura consente con pochi passaggi di entrare nel giornale intimo di Garzya. La photo gallery prevede dieci stanze (Vesuvio, Naples, Capri, Ischia, Procida, Elements, Landscapes, Travels, Greece, Flowers) e ogni sequenza di immagini è supportata da una didascalia che indica il luogo e la data del reportage. MASSIMILIANO DE FRANCESCO Articolo pubblicato ne "La rivista del mare.it" , 8 ottobre 2007. |
PREFAZIONE Si
staccano dal flusso dell'eccesso inquinante le parole di Giacomo Garzya,
e anzi ogni parola sembra recuperare un suo nucleo di pregnanza segnica
in quanto è messa in rilievo, quasi pensata come isola, e nello
stesso tempo lanciata come ponte verso altre catene di parole per
ricreare più profonde significazioni. PATRICIA BIANCHI IL MARE DI DENTRO. RESOCONTO DI ANGELA MATASSA SULLA PRESENTAZIONE A PALAZZO SERRA DI CASSANO DEL MIO QUARTO LIBRO DI POESIE, GIACOMO GARZYA, IL MARE DI DENTRO, Napoli 2005, M.D'Auria Editore.
"Come
un innamorato dedico a te le nove rose che tu stesso descrivi",
così Tommaso Bianco a Giacomo Garzya, autore del volume Il mare di
dentro (edizioni D'Auria), durante la presentazione all'Istituto per
gli Studi Filosofici di Napoli. L'attore napoletano, con una lettura
accorata, ha contribuito alla comprensione e alla fruizione dei versi
di Garzya, analizzati, indagati e spiegati da due autorevoli relatrici:
la storica della lingua italiana Patricia Bianchi e la filologa Adriana
Pignani. "Poeta di parola e di immagini" ha chiarito la
Bianchi, ricordando che Garzya è anche fotografo attento e sensibile
"mostra una chiara nota di equilibrio all'interno del componimento
e del verso stesso". Risulta evidente, nelle centocinque liriche,
una chiara voglia di aprirsi all'altro, attraverso le parole che comunicano
e scambiano sensi profondi. "Garzya offre al lettore il suo kosmos"
ha detto la Bianchi "parlando di amore, amicizia, armonia della
natura e semplifica la parola, mostrandosi generoso verso il lettore.
La linea della sua ricerca poetica va verso uno stato di leggerezza,
che non è superficialità. Con lui si entra in un territorio magico,
un mondo opaco e un po' inquietante, che è il limbo della sua anima".
La docente ha sottolineato l'apertura dell'autore verso altre lingue
(ci sono componimenti in tedesco, arabo e francese). "L'autore
pratica la multietnicità" ha commentato "una prospettiva
che pochi sanno applicare". Il mare, che ricorre anche nel titolo,
"archetipo per eccellenza delle culture occidentali" ha
concluso la Bianchi "è non solo simbolico, ma concreto, gioco
tra luce e buio, tra inquietudine e leggerezza". Adriana Pignani
ha analizzato l'amore profondo del poeta per la parola, "corposa
nel dire, audace ed elegante, che descrive il diario dell'anima. Essa
esprime un cammino in fieri". Tema ricorrente, anche qui come
nelle tre precedenti raccolte, il presente che non disconosce il passato.
"L'empito per la vita è forte" ha spiegato la filologa "ed
è espresso ancora una volta attraverso i temi a lui cari: la Grecia,
la Magna Grecia, i colori, i paesi arroccati. E il mare, che qui è
codice interpretativo della verità"."Nella poesia"
ha precisato a sua volta Garzya "riverso la mia esperienza di
vita, la mia inquietudine, la profondità degli affetti. Come in un
lirico diario dell'anima, intimo ma non intimista". Concludendo,
Tommaso Bianco ha offerto al pubblico di amici e addetti ai lavori,
una sua personale elaborazione delle poesie, creando una sorta di
poema-copione che ha evidenziato i tratti significativi della poetica
di Garzya.
ANGELA MATASSA Articolo pubblicato ne "Il Mattino", 30 maggio 2005.
RECENSIONE DI ROSSELLA GALLETTI A "IL MARE DI DENTRO", LA MIA QUARTA RACCOLTA DI POESIE, Napoli 2005. Libri/ Il mare di dentro. Viaggio nell'universo poetico di Giacomo Garzya È
un'esplosione di emozioni "Il mare di dentro" (M.D'Auria
Editore 2005), l'ultima raccolta di liriche di Giacomo Garzya, poeta
e fotografo napoletano. Emozioni colte nell'attimo fuggente del loro
irrompere. Eppure non stregate dall'istintualità, ma coltivate nei
meandri dell'anima, nell'attesa che la marea più propizia le porti
a galla. Una poesia semplice nel verso e inafferrabile nelle sue significanze
più profonde. Aperta alle interpretazioni dell'uomo-lettore. Le "Spine"
sembrano essere il vero motore della vena artistica del Garzya : pronto
a "stringere nelle mani le spine" di un rifiuto, di un ricordo,
di un passato che non può recuperarsi, di un dolore, dunque, che lacera
l'anima e il corpo. "Ma la spinta a ferirsi permane e permarrà
sempre" : la Musa ispiratrice delle sue istantanee (le poesie)
è la sofferenza, che nella sua funzione di catarsi, libera l'uomo
e "cresce la poesia". È un'essenza vitale a scaturire dal
dolore: Acqua, Terra, Fuoco e Aria sono gli elementi contemplati,
che sorprendono l'esistenza in un limbo tra la vita e la morte. Tra
il ricordo della "terra natia" e i luoghi inesplorati. Non
è un monumento inerte al passare del tempo individuale, il diario
scritto e fotografato dell'artista. È un fluire di immagini in continuo
divenire, un maremoto dell'anima che apre nuovi orizzonti. "Il
Mare di dentro" è la voce del sentire universale che non conosce
limiti di razza, etnia o religione: è la passione di due "corpi
stretti nell'amplesso" che "si contorcono nel sudore della
notte"; o l'indissolubilità di un' "anima della mia anima
nella mia anima la tua anima".
Dalle isole bagnate dal Mediterraneo alle aride regioni sahariane, la mano del poeta ferma frammenti, sensazioni, sentimenti, tradizioni e storia dei paesaggi vergini dal suo tocco. ROSSELLA GALLETTI Recensione pubblicata il 26 giugno 2008, in "Iuppiter News", anno III, numero 2.
|
PRESENTAZIONE DI ADRIANA PIGNANI DEL MIO TERZO LIBRO DI POESIE: GIACOMO GARZYA, PASSATO E PRESENTE, Napoli 2002, Arte Tipografica Editrice.
Chi
si mette per il cammino della poesia, può percorrere vie ampie e piatte
oppure impervi sentieri, segnando il passo su cadenze misurate o trascorrendo
liberamente secondo la legge e la voglia che è sua propria. Ed è con
quest'ultimo andamento che il cammino di Giacomo Garzya conduce del
pari a luoghi e a tempi.
Il tempo sembra essere il tèma dominante, l'idea che maggiormente l'attrae sin dal titolo che impone a questa sua terza raccolta, al tempo proprio nella composizione d'inizio chiede di poter penetrare la sua natura, di liberamente guardare la vita. E il tempo si fa di volta in volta riconoscimento delle proprie radici, godimento dell'attimo presente, memoria dell'esperienza diretta, memoria della storia. Vorrei súbito dire che la raccolta, fin dalla prima lettura, m'è apparsa come una voluta esplorazione di sé da parte dell'autore, costantemente accompagnata dalla coscienza che, mettendosi in viaggio, ciò che non si ritroverà giammai è proprio il tempo e l'essere dell'inizio. Persino il ricorso alla solitudine, ch'egli rivela spesso senza reticenze e che è sempre composta, senza laceranti esclusioni, mi appare piuttosto un momentaneo far tacere le voci altrui per ascoltare, in un pacato e lucido discorso, quella del proprio profondo, a scalzare la sua scorza, quella appunto che chiama 'mallo coriaceo' o 'tela grezza'. Ma ai luoghi si giunge e si ritorna, e le tappe di questo itinerario sono tante e svariatissime e rappresentano sempre e contemporaneamente la visione del reale, il vissuto, e il richiamo d'una memoria lontana, d'una conoscenza acquisita. Il luogo evoca passate letture, suscita sentimenti, emozioni, impensate sensazioni. Sempre alla visione d'un luogo c'è come un fortissimo slancio e il lettore può come palpabilmente cogliere il nascere dell'idea che si fa poi poesia. Appare qui quasi ovvio l'accostamento con la fotografia, che l'autore pratica con altrettanto successo. Certo egli ha l'occhio avvezzo a cogliere tratti e colori, dettagli e atmosfere, che ripropone poi in quell'unica, particolare ottica come significativo messaggio. Ebbene tutto questo riesce a riversarsi nella sua poesia, senza che gli faccia alcuna difficoltà il mutamento del mezzo espressivo, in luogo d'un obiettivo la piú mutevole, instabile parola che dopo l'empito del momento creativo costringe quasi sempre a ripensarla. La geografia della sua raccolta è vasta e disegna un'ampia mappa del suo intimo, dei suoi ricordi, delle sue passioni. Percorre gli scenari piú vari, dalle caratteristiche piú contrastanti già a partire dalle terre delle sue radici, le nordiche 'brughiere' odorose 'd'erica', 'le fitte nebbie', 'la pianura deserta … dai venti battuta ' e d'incontro la 'terra rossa' con gli 'ulivi … da ventate marine torti come i rivoli scomposti dei monti'. Due elementi costantemente presenti nella visitazione o rivisitazione dei luoghi, anch'essi sempre eguali e pur pronti ad assumere connotati diversi: il mare e il vento, a motivi conduttori, a chiavi ineludibili per la decifrazione del suo codice poetico. Il 'mare freddo … del Baltico … del magico Nord' ammirato attraverso il proprio sogno di bambino, la nostalgia dell'uomo, e poi il mare greco, e quello nostro, della nostra città, delle nostre isole che facilmente ravvisiamo, 'l'acqua verde e blu e limpida', 'il mare - che - s'accende nel solare brillio'. Oltre al mare l'acqua comunque, quella dei laghi che ora si delineano placidi e liete visioni suggeriscono gli accenti della tenerezza negli affetti; ora fan da sfondo ed assieme al vento disegnano il profilo delle montagne altrettanto amate. Non è segno di contraddizione l'attrazione verso panorami fisicamente cosí diversi: l'ascesa lungo pendici difficoltose, la vetta, lo scintillio della luce, che l'altitudine rende esclusivo, rappresentano appieno quello slancio, che si diceva, la solitudine, il cammino di sé. Oltre il mare l'acqua comunque, quella d'un fiume come la Senna, una sorta di ideale linea di confine, ma non come limite, al contrario soglia al mondo sconfinato delle aspirazioni piú alte, come le 'stelle … lontane dalla quotidiana violenza dei fatti, delle parole'. La composizione dedicata al Lungo Senna apre una breve serie di poesie per la Francia - paese d'esperienza vissuta, e intensamente, per l'autore - serie in cui s'intensifica, e sempre piú s'estenderà nel prosieguo della raccolta, l'estrinsecazione del suo sentire. Se una differenza è forse possibile rilevare tra questa e le prove passate, che cedevano prevalentemente alla descrizione, alla rappresentazione, è proprio nel maggior gusto, la maggiore voglia di narrarsi, la quale produce anche una maggior saldezza nel linguaggio, come una sicurezza espressiva. Del linguaggio resta inalterata la scelta raffinata, colta, ma ispessisce quella 'spontanea levità' che gli ha riconosciuto Giuseppe Galasso, richiamato nell'Introduzione, a proposito della precedente raccolta - il cui titolo dà il nome anche alla prima composizione di questa, a segno, sí, di prosecuzione, ma pur di nuova partenza -; né piú si possono col Galasso continuare a negare alla poesia di Garzya 'insospettabili e improbabili profondità'. Sarebbe dunque il momento di rivolgersi ai tanti temi, ai tanti significati, alle tante impressioni che trovan spazio in questa raccolta, col rischio grande di slargar troppo il discorso e poi anche annoiare. D'altro canto quando si analizza la poesia, quando la si sminuzza in piccoli tratti, è certo e inevitabile sia l'omettere sempre qualcosa, il trascurare alcunché che ad altri parrebbe essenziale, sia il non poter cogliere e rendere il senso e la suggestione che ha il suo insieme e che a sua volta si offre al lettore come esplicita significazione, ma anche come suggerimento nascosto. Mi viene quindi forte la tentazione di procedere ad un semplice, spoglio elenco, lasciando che ad emozionare siano le emozioni del poeta. Dirò allora di due presenze forti, l'una estremamente recondita, come con pudore indicata, il senso del divino; l'altra possente nel suscitare passione, dolcezza d'amore, esaltazione, dolore. È l'idea della donna che con prepotenza conduce l'autore, di certo non all'orlo d'un baratro, ma alla vertigine della sua piú intima profondità. Dirò della musica che, riposta nella sua conoscenza, anima poi di sé stessa un luogo, un personaggio, un mondo spesso finito - penso alla Juliette di Saint-Germain-des-Prés, alla Rodriguez di Coimbra (anche il poeta allora intona il suo fado), alla mascagnana Cavalleria che si chiude col sangue di Turiddu sulla distesa fiorita della Cunziria -. Dirò della letizia di dolci affetti, che quasi sempre si esprime attraverso un enumerare in serie di colori. Ora Giacomo Garzya è scrittore autonomo da ogni corrente o moda letteraria e avulso da qualsiasi influenza o imitazione, ma questo suo modo si pone assai da presso all'esperienza scrittoria d'un rinomato poeta dei nostri tempi. Sto pensando a I. Ritsos, che fu anche pittore d'ugual livello. Ritsos è conosciuto in poesia quasi unicamente come il portavoce della resistenza contro ogni dittatura del suo paese, mentre nella fase piú avanzata della sua maturità - quando la situazione politica greca, e la sua vicenda personale, era ormai pacificata - sperimentò una ricerca di liguaggio che travalicasse i limiti tra poesia e pittura, tra parola e raffigurazione d'immagine, e in questo suo, davvero rivoluzionario, tentativo l'evocazione dei colori appare l'unico codice espressivo, la cui convenzione possa essere comunemente accettata. Dirò infine degli spunti che l'autore trae dalla storia. Sono le ultime composizioni, che rappresentano il segno piú evidente del come Garzya viva con profonda partecipazione il mondo delle sue conoscenze. Sono cinque, significativi eventi, in cui la vicenda del nostro mondo si è trovata a un crocicchio, a imboccare una strada di non ritorno, al cui approccio l'autore muove con una concezione poetica e una tecnica di volta in volta diverse. In Bouillon sullo sfondo di paesaggi contrastanti, ove l'opposizione è quella dell'Occidente con l'Oriente, l'uomo, quel Goffredo conte e mai re, è protagonista d'una scelta fatale. In Otrànto l'orda musulmana che, imprimendo sui mirabili marmi musivi l'onta dello zoccolo dei cavalli, invase la splendida basilica sovrastante la cittadina pugliese e ne sterminò in incredibile numero la popolazione, conduce il pensiero ad antiche ragioni dei fatti dell'oggi, ma vince il senso della grande commozione. Chiunque abbia visitato il luogo, ritrova in quell'accento, Otrànto, che è dell'uso locale, la vitalità della memoria degli abitanti, del loro sentire sempre come attuale il lontano evento. Evocazione d'atmosfera, pura descrizione di tratti per Napoli 1822 tra l'esplosione del nostro vulcano e visioni placide e consuete d'un molo marino. Una particolare sapienza compositiva unisce 15-18 giugno 1815 e Praga 1968: Waterloo ricostruita attraverso precisi flashback, i punti salienti della battaglia scelti con competenza, rivela il pieno possesso della materia e la capacità di visualizzare la storia, di darle vita entro il suo stesso scenario; eguale impianto, eguale tecnica espositiva per le vie e piazze prima festanti della loro primavera, poi invase dai carri: vita vissuta, storia e cronaca insieme, prosecuzione d'un viaggio, del viaggio verso il piú umano degli esiti, il pianto sulla libertà persa, sulla stagione conclusa. Le cinque composizioni storiche - ma la storia non manca certo di apparire anche prima -, in rigoroso ordine cronologico (ch'io ho un po' alterato per ragioni di critica estetica) chiudono la raccolta slargando, dall'esperienza individuale all'esperienza comune, la contrapposizione, ma pur la continuazione di Passato e presente. Manca del tempo la terza categoria ed è quell'avvenire, che, ricco di produttività, auguriamo all'autore e da lui attendiamo.
ADRIANA PIGNANI (Presentazione di "Passato e Presente" di Giacomo Garzya, all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli, 30 gennaio 2003).
PRESENTAZIONE IN INGLESE DI ADRIANA PIGNANI DEL MIO TERZO LIBRO DI POESIE: GIACOMO GARZYA, PASSATO E PRESENTE, Napoli 2002, Arte Tipografica Editrice.
Whoever sets out on the long initiation of poetry may
keep to broad, flat highways or choose the rough, inaccessible byways,
and advance with measured strides or amble along just as his own discipline
or whim dictates. Giacomo Garzya favours the latter gait, and it leads
him and us to certain places and certain times.
Right from its title, time appears to be the predominant theme of this third collection of poems, the single idea exercising overwhelming fascination. In the very first poem the poet wishes to be able to penetrate the nature of time, to freely contemplate life itself, while subsequently time becomes the recognition of his roots, enjoyment of the present moment, memory of direct experience and indeed of history. On the very first reading I felt that in this volume we see the poet exploring himself and his own nature. He does so in full awareness that on this journey he is destined never to encounter again the same time or person as at the beginning. He frequently alludes pacifically and without reticence to the state of solitude. Far from involving laceration and exclusion, this seems to me to be merely a momentary silencing of other voices. It enables him to heed the voice of his own inner being which comes across in a measured and lucid discourse, breaking through his 'hard shell' or 'rough cloth'. Places which we reach and return from them: this itinerary involves many very different ports of call, both a record of reality and personal experience and an evocation of distant memories, knowledge he had gained. A place recalls past readings, sentiments and unlooked-for sensations. Each vision of a place provokes a sudden surge of emotion: it is as if the reader can sense at first hand the genesis of an idea that turns into a poem. It comes quite naturally to use photography as a paradigm, for the author is also an accomplished photographer. He has a practised eye for seizing features and colours, details and atmospheres, which are then given distinctive form to communicate a message, and all this is brought into his poetry. Apparently the change of medium does not cause him any difficulty, even though the objective lens is replaced by the more evasive word, and as we know, once the inspiration of the creative moment is past, one almost always has to go back over what has been written. The geography of this volume is far-flung and traces a comprehensive map of his inner world, memories and passions. It visits varied, contrasting landscape: at first the places of his roots, northern 'moors' with the scent 'of heather', 'thick fogs', 'the deserted plain … scoured by winds'; and then the 'red earth' with 'olives … bent and twisted by the winds off the sea like the gnarled runnels on the hillsides '. Two natural elements always feature whenever he visits or revisits places, always the same and yet ready to take on different connotations. I am speaking of the sea and wind, surely two Leitmotifs in his poetry, indispensable keys to his poetic code. The 'cold sea … of the Baltic … the magic North', admired in a dream when he was a child and object of nostalgia for the grown man, and then the sea of Greece and our own sea, spread out in front of the city, with our islands lying out there to be admired, 'the water green and blue and limpid', 'the sea - which - comes alight in the sun's full splendour'. Of course the sea implies water in general, as in lakes that may lie placid, pleasant visions conjuring up the tenderness of loving relationships, or serve as a backdrop, setting the scene in conjunction with the wind for the poet's beloved mountains. There is no contradiction in this dual attraction to such widely differing landscapes: the laboured ascent, the summit, the shafts of light found only at certain altitudes, are perfectly apt to represent the surge of emotion we talked about, the solitude and the journeying. Water in general also includes a river like the Seine, a sort of ideal boundary line which marks not a limit but, on the contrary, the threshold of a limitless realm of lofty aspirations, like the 'stars … far from the daily violence of events and words '. The poem describing the Banks of the Seine initiates a brief sequence celebrating France - a country imbued with intense personal experiences for the author. Here we find an intensification of his tendency to explore his own feelings, and this proceeds through the rest of the collection. In the preceding collections the emphasis was chiefly on description and representation. Here, and this is perhaps the innovation of this volume, the author is keener to recount himself, and indeed seems to take pleasure in doing so. This produces a greater security in the language, a sounder expressive touch. Here as before we find the same sophisticated approach to word choice, but there is a new depth to the 'spontaneous levity' identified by Giuseppe Galasso (see Introduction) with respect to the previous collection. In fact the latter's title is also the title of the first poem here, indicating continuity but also a new point of departure. Galasso is surely right to recognise in Garzya's output 'unlooked-for and improbable depths '. Now strictly the time has come to turn to the many topics, meanings and impressions contained in this volume, but this would risk becoming excessively generic and indeed boring. Besides, whenever one analyses poetry, chopping it up into little sections, something is bound to be left out, ignoring some feature that others regard as essential. Or else one fails to identify and render the sense of the whole, which at times is available to the reader not just as explicit significance but as implicit suggestion. Thus I am strongly inclined to proceed with a mere list, leaving the poet's emotions to do their work. Let me identify two presences, both of them forceful, although the first is extremely recondite, hinted at with timidity: the sense of the divine; while the other arouses passions, being the tenderness of love, exaltation, sadness. We find the idea of the woman forcefully leading the author, not of course to the edge of the abyss but to the swooning consciousness of his most intimate inner self. Then I can identify music which, part of his fund of knowledge, itself animates a place and a character, or a world which often is no more - I am thinking of Juliette and Saint-Germain-des-Près, Rodriguez and Coimbra (where the poet composes his own fado), and Mascagni's Cavalleria which ends with Turiddu's blood on the flowery parterre of the Cunziria. I can refer to the delight in loving relationships, which is almost always expressed in a series of colours. There is no doubt that Giacomo Garzya stands outside any literary current or trend, and is free of any influence or inclination to imitate, but this particular aspect sets him close to the work of a well-known poet of our times, namely I. Ritsos, who was also a no less distinguished painter. His reputation as a poet derives almost exclusively from his role as spokesman against all forms of dictatorship in his country. Nonetheless, at the height of his maturity - when the political situation in Greece, and also his personal life, had achieved a certain tranquillity - he experimented with linguistic forms which transcended the confines between poetry and painting, word and image. In this truly revolutionary approach the evocation of colours emerged as the only expressive code which could stand as a commonly recognisable convention. And finally I can point to the insights the poet derives from history. It is in the last poems of the collection that we see most clearly how Garzya identifies quite profoundly with his personal fund of knowledge. He singles out five significant events during which the modern world found itself at a crossroads, about to take a decisive step in which there would be no going back, and he adopted a specific poetical approach and technique for each one. In Bouillon, against a backdrop of contrasting landscapes where the West stands in opposition to the East, it is an individual, Goffredo "count and never king", who is the protagonist of a fatal choice. In Otrànto the Moslem horde which invaded the splendid basilica overlooking this town on the coast of Puglia, marring the wonderful marble floor mosaics with their hoofprints and exterminating an incredible number of the inhabitants, evokes age-old reasons for current troubles, although it is the sense of profound emotion which prevails. Whoever has been to Otranto will immediately sense, in the accentuation of the second syllable, a local peculiarity, transmitting all the vitality of the collective memory, for the inhabitants continue to relate to that remote event as if it had just happened. In Napoli 1822 we find atmosphere and a pure description of effects, amidst the explosion of our own volcano and peaceful, familiar images of a seaside jetty. The two poems 15-18 June 1815 and Praga 1968 share a particularly accomplished compositional device. The battle of Waterloo is reconstructed by means of precise flashbacks, the key moments masterfully singled out, showing a comprehensive grasp of the subject and the ability to visualise history and bring it to life. The same approach and narrative technique is adopted for the streets and squares celebrating the Prague Spring, only to invaded by tanks: personal experience, as we have said, history and narrative combined, the pursuit of a journey towards the most human of outcomes, the mourning of lost liberty, a chapter ended. These five historical compositions - although of course history was clearly present also before this point - are given in rigorous chronological order (which I have altered for my own aesthetic ends). They bring the volume to a close, opening out from individual experience to the experience of one and all, representing the essential juxtaposition, but also continuity, of Past and present. Where, we might ask, is the third and final category of time, the future? Of course this, with the abundant productivity it presupposes, is our wish for the author, and our confident expectation from him. ADRIANA PIGNANI (Presentation
of "Passato e Presente" by Giacomo Garzya, at the Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici, Naples, 30 January 2003)
ARTICOLO SULLA PRESENTAZIONE DELLA MIA TERZA RACCOLTA DI POESIE "PASSATO E PRESENTE" ALL'ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI
Luoghi
onirici, che riflettono la propria bellezza attraverso le immagini
e le sensazioni che suscitano nella poesia. Ai luoghi vissuti, attraversati,
o anche solo ammirati, Giacomo Garzya dedica Passato e presente, la
raccolta di 54 liriche, edita da Arte Tipografica, che segue Solaria
e Maree, le antologie poetiche con sui Garzya si è affacciato per
la prima volta al complesso mondo della scrittura, dopo anni di studi
storici. Non è un caso che sia uno storico, del calibro di Giuseppe
Galasso, a presentare la raccolta Maree. L'ultima è stata ufficialmente
presentata all'Istituto italiano degli Studi filosofici, alla quale
hanno partecipato, insieme con l'autore, la giornalista e scrittrice
Angela Matassa, il critico Adriana Pignani e il giornalista Enzo Pagliaro.
Studi vichiani e crociani, e una professionalità indiscussa in campo
storico - con numerose pubblicazioni sulla storia sociale e religiosa
del Mezzogiorno - non hanno impedito all'autore di esprimere il suo
estro poetico. Non solo attraverso i versi, ma anche con la fotografia,
l'altra arte che gli è congeniale, che lo vede autore di belle pubblicazioni
su Napoli e su Procida. Prendendo a modello un autore universale,
come Antoine de Saint-Exupery, Garzya "guarda ciò che lo circonda
come se si trovasse sulla luna o su un astro immaginario", così
che tutto si confonde e la realtà varca i confini della fantasia.
Nasce così Passato e presente in cui, chiariscono le relatrici, il
poeta esprime, approfondite ed arricchite, le forti sensazioni, le
emozioni, le visioni espresse nei due precedenti volumi. Celebrando
la natura, la passione, la solitudine contemplativa. Versi nei quali,
come scrive Giuseppe Galasso nella prefazione di Maree, "è rivelato
un mondo semplice ancorché pensoso, composto ancorché vivace... naturale
e credibile nella sua radice umana".
COSTANZA FALANGA Articolo pubblicato ne "Il Mattino", 4 febbraio 2003.
RECENSIONE DI ANGELA MATASSA ALLA MIA TERZA RACCOLTA DI POESIE "PASSATO E PRESENTE, Napoli 2002.
Giacomo
Garzya, versi sospesi È
dedicato a Passato e presente l'ultimo libro di poesie di Giacomo
Garzya, pubblicato da Arte Tipografica. Il poeta-fotografo, salentino
di origine, ma napoletano d'amore, già nei precedenti Solaria e Maree
esprimeva emozioni e visioni che tornano in quest'ultima raccolta
approfondite ed arricchite. Prodotte, sia dalla passione per la Grecia,
di cui è studioso appassionato, sia da ricordi di antiche amicizie
e variegati viaggi. In quest'ultimo volume, Giacomo Garzya racconta
il suo passato legandolo al presente con un sottile filo, che si snoda
attraverso i temi a lui più cari: la storia, l'amore, la passione,
la solitudine contemplativa e creativa, l'amicizia, i colori. E la
fotografia, l'altra arte che gli è congeniale, lo aiuta a fissarli
nei mille fotogrammi che lo ispirano nell'attimo fuggente in cui li
vive e che diventano versi o immagini. Strumenti che gli permettono
di penetrare nel "mallo coriaceo" che è in lui, liberandone
l'anima. Quindi, "liberi gli occhi dalle bende", come scrive
lui stesso, l'autore esprime a piene mani il tumulto che lo attraversa,
le contraddizioni che caratterizzano l'uomo. Esprime la dicotomia
propria dell'uomo. Da una parte la voglia di osare, di andare oltre,
dall'altro il freno, la corazza. E una volta domina l'una, una volta
l'altro, nel tentativo di trovare un equilibrio che, a volte, sente
stretto. Ad ispirarlo sono il giorno e la notte, il buio e la luce,
il colore, il rumore e il silenzio, in un'altalena tipica della sua
personalità. Va alla ricerca di un rifugio sicuro che lo consoli e
lo sproni rendendolo certo, ma solo per un attimo. L'attimo del verso,
per fissare, nero su bianco, su carta o su pellicola, il fotogramma
che lo ha ispirato. Le sue poesie sono attimi di vita colti in ogni
momento del quotidiano. La grecità è sempre presente nell'ispirazione,
nel ricordo, nei versi. Ma ci si imbatte anche nella disperazione
e nel dolore del vivere, che, di tanto in tanto, gettano un'ombra
scura sulla voglia di vivere: e spesso lo attanaglia una solitudine
interiore che non è isolamento ma dimensione da vivere e di cui godere.
A volte, perfino ricercata.
ANGELA MATASSA Articolo pubblicato ne "Il Mattino", 3 settembre 2003.
|
Giovedì
29 novembre, presso la sede dell'Accademia Pontaniana in via Mezzocannone
8, il professore Ugo Criscuolo, attualmente docente di letteratura
greca, nonché decano, presso l'Università degli studi di Napoli
Federico II, terrà una commemorazione in onore dell'illustrissimo
professor Antonio Garzya, scomparso lo scorso 6 marzo a Telese Terme,
all'età di 85 anni. GIUSEPPINA IERVOLINO |
Giacomo Garzya is a contemporary Neapolitan poet. The following poem appears in the original Italian in his Poesie (pub. M. D'Auria, Naples, 2011). This English translation is my own and was done in collaboration with the poet. I present it with his permission. SECRET
AND ANCIENT NAPLES In the heart of magic Sanità *The Latin phrase (line 3) is proverbial in Italian
and left untranslated in the poem. It is from Hadrian's poem that
starts "Animulae vagulae et blandulae/hospes comesque corpis..."-roughly,
"Little souls, wandering and faint/guests and companions of my
body...".
Nel
cuore della Sanità magica, Napoli, 12 luglio - 12 agosto 2009 Giacomo Garzya MASADA -poem & photo by Giacomo Garzya ©2012 Garzya is a contemporary Neapolitan poet and has other poetry in these pages here and here. He recently returned from Israel, where he visited Masada, the mountaintop stronghold in the Judean desert and site of a Roman siege in 73 AD to oust Jewish rebels. The siege ended, famously, when the rebels committed mass suicide rather than surrender. Garzya was moved to write these lines. My English translation on the right is presented here with permission of the author. Come
dimenticare Un
Impero contro una fede, Né
vinti né vincitori, GIACOMO GARZYA How to forget Empire against Faith, Not victors nor vanquished, Masada, 1 gennaio 2013
|
GIACOMO GARZYA: DUE POESIE SCRITTE PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA
SE QUESTO NON È AMORE Il
primo bacio con gli occhi, Trieste,
20 marzo 2023
Come
si fa a non amare Trieste,
21 marzo 2023 |
|
|
WEB
SITE ottimizzato per una risoluzione 1920 x 1080 (Web Master Enrico
Veneruso)
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, Chi
voglia contattarmi per commenti può farlo al seguente indirizzo di
posta elettronica: giacomo.garzya@virgilio.it , chi voglia avere,
sul mio lavoro, ulteriori notizie, al di là di ciò che ho scritto
nella pagina Biography, può attingerle in Google, Google Books, NAPLES
: Life, Death & Miracles a personal encyclopedia e OPAC SBN. |
|