È ottobre inoltrato,
e un calice si leva al cielo,
Sagrantino rubino,
in amicizia e silenzio
francescano.
Nel segno dei “Fioretti”,
con sobrietà e gratitudine,
si brinda al dono della terra,
al vino d’Assisi, bianco e leggero,
un tempo dolce, speziato,
profumato d’erbe e miele,
fragile come il suo tempo,
antico padre di Grechetto
e Trebbiano,
di Malvasia e Sangiovese.
Era un vino d’altare e di mensa,
di fraternità e accoglienza,
non di mondano piacere,
il vino dei frati e dei contadini,
che sapevano ringraziare
anche con un solo sorso.
Oggi vedo le uve ancora,
ai piedi della Basilica,
tra i filari che brillano
sotto il sole di metà ottobre:
rossi grappoli di Sagrantino,
cuore tardivo dell’Umbria,
che attende il freddo per farsi
dolce, passito di luce
e di preghiera,
come in terre lontane,
a Niagara-on-the-Lake,
dove il gelo conserva l’anima
dell’uva fino a gennaio.
Qui la vendemmia precoce,
invece, segue i ritmi antichi:
Grechetto, Trebbiano Spoletino,
Verdicchio, Sangiovese,
Ciliegiolo e Canaiolo,
raccolti tra metà settembre
e il primo respiro d’ottobre.
Tutti insieme formano
una sinfonia contadina,
una liturgia di colline,
che ancora resiste
tra gli ulivi e i silenzi dell’Umbria
e dell’Alto Casentino, terre
di Francesco,
dove il tempo cambia,
ma il ringraziamento resta.
Assisi, 19 ottobre 2025
