PREFAZIONE DI EUGENIO MAZZARELLA A GIACOMO GARZYA, PENSARE È NON PENSARE, NAPOLI 2009, BIBLIOPOLIS.

 

Anche questa quinta raccolta di versi di Giacomo Garzya, Pensare è non pensare, conferma il dettato poetico che gli è proprio, e che già Giuseppe Galasso individuava per tempo nella prefazione alla sua seconda raccolta poetica, Maree, del 2002: la semplicità pensosa del dettato poetico che non perde tuttavia vivacità nella compostezza del verso di "spontanea levità". Una poetica colloquiale che anche in questa raccolta trova nella topica del viaggio il suo scenario e la sua metafora; e nei suoi resti - lacerti di memoria, di visioni, tracce consegnate a "ricordi" recati dagli amici - i segnaposto di sentimenti, volti, paesaggi amati, talora visti negli occhi di un altro, nella privata geografia degli affetti (Sabbie e pietre, una poesia tesa e tersa, ne è un catalogo esemplare: Tutte care/ le sabbie, le pietre della mia vita... il bellissimo attacco ).
Questa ordinata topica del viaggio, che scandisce la sua cronologia interiore ancorandosi alla certezza del calendario degli eventi, è il riparo nella parola allo strappo esistenziale percepito sempre - ma sempre sommessamente - in agguato, e proprio alla vita degli umani: Siamo punti finiti/ in ciò che non è spazio/ o granelli ocra in un deserto infinito/ privo di speranza?/ La vita che viviamo e la morte/ sono le uniche certezze ( meditazione che annota "Ho tanta fede in te" di Montale in Parafrasando una poesia ). Sullo sfondo di tutto la sconsolata visione "domestica", detta con calma assoluta al proprio gatto (Il rigo agli occhi,/ la linea tra i visibile/ e l'invisibile demarca,/ come lo zenit/ che è al centro delle tue pupille,/ mio Arturo...; e ti viene di pensare alla costellazione, linea luce nel cielo nero notte), che alla "vita", a quella senza pena del "puro animale" - se poi c'è, puro e senza pena - l'Io dell'uomo e il suo affanno, il pur condiviso battito del cuore, è " alla fine... indifferente,/ invisibile, senza materia". E quell'"esisti solo tu" è detto forse a se stesso, ad ogni vivente chiuso nella sua pena.
Il calendario di questi due anni di poesia si strappa agli inizi del 2008, con la morte tragica dell'adorata figlia Fanny. Il foglio strappato è al 5 di febbraio, in una poesia presaga - A Nostri Morti - scritta altrove da dove si doveva stare, se solo sapessimo qualcosa del "cammino", nonostante "muscoli e tendini forti", e "volontà,/ per vedere e sentire e pregare" (Il tuo profumo è la lavanda...). L'essenziale di questo foglio strappato è nella dedica, che ti muore il cuore: all' adorata figlia Fanny, Angelo del Paradiso, segno premonitore/ della sua tragica fine, avvenuta poche ore/ dopo, lontana dal suo papà.
Allontanarsi da quel "lontana" è un calvario, salito solo aggrappandosi alla figlia perduta e presente, che già forse si sapeva di dover seguire nella memoria: Da tempo, da Fanny, avevo in testa/ il Cammino ( Saint Jean-Baptiste, scritta per motivare la decisione di intraprendere l'estate precedente il Cammino di Santiago già percorso dalla figlia ); per ritrovarne l' "idea", l'aspetto, il volto nel pensiero che "cede" di pensare - unico modo in fondo di sopravvivere: Il filo di Arianna, me, alla luce della ragione ha riportato,/ ma la realtà è comunque che tu non apri a chi ti bussa/ e non torni alla tua casa. Tu non tornerai più gioia/ delle gioie, perché l'atroce sogno è cruda realtà.
Dopo questa data nella raccolta, qualunque cosa ci sia, c'è solo Fanny; in movenze pascoliane, dove il filo che lega passato e presente, la cesura della perdita, e sutura e tiene aperta la ferita è il ricordo, l'amore di lei raccolto nel cuore. E' "il suo sorriso, il suo parlare sensato,/ il suo benevolo, umano affetto di figlia" (Non una stella stanotte...) , che fa argine all' "ansia di perdersi" in una vita ormai troppo vicina al vuoto delle ombre: il ricordo, il gomitolo del cuore, l'unico calore nella sinestesia del sentirsi e del sentire il mondo, l' "esterno", gelato in una lapide. E' la gelida simmetria tra l'inizio del dettato poetico del 16 marzo 2008: Sulla nuca vento marino,/ freddo,/ come lo sono io dentro,/ oggi che avresti festeggiato/ i tuoi venticinque anni./ Riscaldami col tuo sorriso,/ ora che senza di te ho perso/ una parte di me... e la chiusa del componimento del successivo 22: Il marmo canoviano, che ho davanti,/ la fantasia anima, come i sensi, e calore dà/ al cuore e alla mente, non così la tua lapide,/ senza speranza, che al tocco dolce della mano,/ resta gelida e muta.
"Freddo" , nella poesia, è isolato, è scolpito da solo. Uniche fonti di calore al cuore "ricordo" e "arte", il vetro della poesia che immalinconisce il ricordo e in una qualche misura lo fa dolce, ripara di lacrime gli occhi che bruciano: L'amore era nel tuo vivere,/ come acqua fresca di fonte,/ che purifica dal male./ Ben chiara avevi l'essenza/ dell'umana natura e agivi/ perché potesse in meglio mutare ( Un Fiore Reciso ). Ma questo si può guardare, si può reggere solo attraverso i vetri della poesia, chiusi nella stanza del cuore che ricorda, tra le mura dell'artificio, la parola, che Dio o gli dei hanno voluto dare agli uomini con "la vita che viviamo e la morte...uniche certezze":

INTRA MOENIA

Piovischio di tristezza imbeve
piante e palme sotto i busti severi
di Palazzo Firrao.

Ora l'acqua impreveduta travolge
E un amico,
di Aleksandr Blok,
sparge i versi nell'aria
senza tempo e luce.

Dietro un vetro riparati
la poesia ogni malinconia dilava
e tavolini deserti guardano gli occhi
sorpresi.

Se il miracolo regge, possiamo ancora essere qui.

 

EUGENIO MAZZARELLA

 

EUGENIO MAZZARELLA SU GIACOMO GARZYA, "UN ANNO", con prefazione di Silvana Lucariello, Napoli 2013, pp.1-74, M. D'Auria Editore (presentato da Silvana Lucariello ed Eugenio Mazzarella all'Istituto italiano per gli Studi filosofici il 7 febbraio 2014 ("Un cerotto sull'anima. Un anno di Giacomo Garzya", la relazione del filosofo e poeta Eugenio Mazzarella, fu pubblicata nella mia quattordicesima silloge "L'amore come il vento", Napoli 2019, Iuppiter Edizioni, pp. 59-61).



 

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