PRESENTAZIONE DI GIACOMO GARZYA DEL LIBRO DI AURORA CACOPARDO E DI FRANCESCO D'EPISCOPO "NAPOLI: LUOGHI LETTERARI"

 

È con vero piacere che mi accingo a presentare, in questa benemerita sede dell'HUMANITER, il libro "Napoli: luoghi letterari" di Aurora Cacopardo e di Francesco D'Episcopo, edito nel 2011 dalla emergente Casa Editrice IUPPITER EDIZIONI di Napoli. Aurora Cacopardo, ora insegnante qui all'HUMANITER, è stata una valente docente di materie letterarie nei Licei ed è una colta, sensibile, acuta critica letteraria napoletana, che ho avuto modo di apprezzare personalmente negli ultimi anni leggendo le sue recensioni agli ultimi miei libri di poesie. Ella ha infatti dato ottima prova di sé collaborando con riviste quali Il Cerchio, Essere, Napoli City, nonché scrivendo sulle pagine culturali del Roma, del Danaro e di Chiaia Magazine, un periodico questo di grande importanza civile, sociale e culturale non solo per il quartiere Chiaia, ma per Napoli tutta.
Francesco D'Episcopo, autore di numerosi volumi e saggi sulla Letteratura italiana, insegna questa materia alla Federico II ed è un critico letterario, con al suo attivo vari riconoscimenti ufficiali alla sua pluridecennale attività.
Il libro che si presenta ora, riguarda quattro autori, che hanno lasciato una traccia profonda nella cultura napoletana, pur con esiti diversi : Carlo Bernari, Luigi Incoronato, Domenico Starnone ed Erri De Luca, i primi due, avendo avutouna fortuna non proporzionata al loro effettivo valore. Gli ultimi due, a noi contemporanei, depositari di numerosi riconoscimenti sia da parte della critica che dal pubblico di lettori.
Scopo principale delle pagine critiche di questo libro è non solo spingere alla lettura di pagine su Napoli talora dimenticate e difficili da reperire, è il caso di Bernari, ma quello di riscoprire due autori, Bernari appunto e Incoronato, che hanno dato nei loro scritti un'immagine realistica, anzi meglio dire neorealistica, della città di Napoli e confrontarli con due autori, Starnone ed Erri De Luca, che nel raccontare la loro città, perché di racconti si tratta e non di romanzi, hanno dato sì un taglio realistico, ma soprattuttolirico, in particolare Erri De Luca, ma anche Luigi Incoronato, nella scena alla Stazione centrale e al suo vagare tra i binari, insieme al protagonista anonimo, che si identifica, come ben dice Francesco D'Episcopo, con l'autore stesso.
La scelta di Aurora Cacopardo e Francesco D'Episcopo di analizzare l'opera di questi quattro autori, tuttavia non prescinde dal voler mettere in evidenza i luoghi i cui si svolgono le storie e lo stesso narrare: via Speranzella, Scala a San Potito, via Gemito, Monte di Dio.
I luoghi, i siti hanno sempre rappresentato e rappresentano momenti evocativi di grande valore emotivo sia per chi vi nasce, sia per chi li vive e sia per chi li visita da forestiero. I luoghi sono la storia dentro e fuori di noi e di essi non si può fare a meno se è vero che la memoria non ossida il tempo, cioè se la memoria permette che il tempo inteso come vissuto di un singolo e/o della collettività resista all'oblio. Ciò vale per tutti i luoghi che hanno un vissuto da raccontare, Napoli e la Gerusalemme di Erri De Luca, nel nostro caso.
La Napoli, qui raccontata, è una Napoli fatta di eroi e antieroi, penso, in particolare, da una parte, al ragazzino protagonista in "Montedidio", dall'altra, all'anonimo protagonista, con Giovanni, in "Scala a San Potito", ma anche una Napoli disperata nella sua miseria, lontana anni luce dalle rappresentazioni festose, carnascialesche, folkloristiche di certa ben nota letteratura. Il colore della miseria, della solitudine, che prevale in molti passi di queste opere e nei suoi personaggi è il grigio, un grigio che dà poco spazio alla speranza, se si escludono le avventure salvifiche nel racconto di Erri De Luca.
In "Napoli: luoghi letterari" Aurora Cacopardo tratta in primis della figura letteraria e artistica di Carlo Bernari, un autore di spessore, che Domenico Rea non esitava a proclamare, nel 1958, come "l'unico scrittore napoletano degno di questo nome" e che avrà una vita spesa tra giornalismo, riviste letterarie e sceneggiature cinematografiche. Ebbene Carlo Bernari, autodidatta, come non pochi scrittori negli anni '20 e '30, antifascista, frequentatore delle idee crociane, nonché, durante un breve soggiorno a Parigi, di André Breton, padre del Surrealismo, produsse nel 1934 il suo primo romanzo "Tre operai" in una collana diretta da Cesare Zavattini, che non ebbe che poco pubblico, anche se una buona critica. "Tre operai" rappresenta il manifesto sociale dello scrittore, che preannuncia un lavoro di scavo ventennale sulla sua città, che si condenserà in due volumi, la "Bibbia napoletana" - "considerato uno dei libri più affascinanti non solo su Napoli ma "di Napoli" - e "Speranzella", il suo capolavoro, uscito nel 1949 e vincitore ex aequo del Premio Viareggio, con buon successo, questa volta, di lettori e di critica.
Aurora Cacopardo, dopo aver ben disegnato la biografia di Bernari senza nascondere l'astio che nei suoi confronti aveva avuto Elio Vittorini, come è noto, intellettuale organico del Partito comunista e quindi diffidente nei confronti di chi conservava una propria libertà di scelta e di giudizio, si ferma a parlare a lungo del romanzo "Speranzella", ambientato nella Napoli a cavallo del ben noto Referendum Monarchia-Repubblica. Questa disamina critica di Aurora Cacopardo si sofferma sui punti principali dello spirito narrativo di Bernari, nonché sulla sua tecnica narrativa e sull'uso del dialetto, sulla scia dell'esperienza di Verga e di Alvaro, senza dimenticare la lezione di Di Giacomo, Viviani, Murolo, per non parlare del Cortese, del Basile, del Velardiniello. Importante è la considerazione della Cacopardo, quando dice che "i personaggi di Bernari…non cadono mai nel bozzetto, perché lo scrittore vi trasferisce con naturalezza l'elemento storico-documentario", cioè fa un lavoro di scandaglio di natura storicistica, nella migliore tradizione crociana. Quindi nessun folklore, niente pietismo né macchiettismo.
L'analisi di Carlo Bernari di Aurora Cacopardo si conclude, in modo analogo, con analogo metodo, nella trattazione della vita e dell'opera di Erri De Luca, alla luce, in paticolare del racconto "Montedidio", dove, anche se in modo molto diverso, lo scrittore mette in luce la sua visione di Napoli rapportata al sogno salvifico del volo a Gerusalemme di Rafaniello, ebreo errante, che trova rifugio nella Napoli devastata dalla guerra, dalla fame e dalla miseria, una Napoli europea nella sofferenza per dirla con Curzio Malaparte e la sua visione di Napoli rapportata al bumeràn atrettanto salvifico, nonché liberatorio, del protagonista ragazzino, onesto nelle sue movenze, come il padre scaricatore di porto, in una Napoli corrotta e ferita, vedi la vicenda triste del padrone del palazzo e di Maria.
Aurora Cacopardo felicemente conclude il suo itinerario critico dicendo che Erri De Luca "riesce, spesso,a scavare in profondità con risoluta delicatezza", trattando "così il comico, il tragico, la ricerca del sacro", senza perdere, aggiungo io, la sua vena poetica e fantastica.
Francesco D'Episcopo, da parte sua, analizza l'opera di Domenico Starnone e del meno fortunato Luigi Incoronato. Meno fortunato se si considera il tragico epilogo della sua vita, che, leggendo attentamente il suo racconto "Scala a San Potito", può dirsi già in nuce tanti anni prima.
Studioso di Incoronato, D'Episcopo ne tratteggia pienamente la biografia, elemento primo di ogni analisi successiva, sottolineando l'anno 1960, in cui non solo vince il Premio Napoli con il romanzo "Il Governatore", ma fonda la rivista "Le ragioni narrative", insieme a scrittori come Compagnone, Pomilio, Prisco e Rea, nonché accademici come Salvatore Battaglia e Leone Pacini Savoj.
La notorietà di Incoronato nasce, tuttavia, nel 1950 con "Scala a San Potito", edito da Mondadori, emblema della precarietà, delle gravi difficoltà di sopravvivenza che il popolo napoletano incontrò nell'immediato dopoguerra.
D'Episcopo, analizzando "Scala a San Potito" nota acutamente che l'anonimo protagonista del racconto "si identifica, nella sostanza, con l'autore stesso, il quale "sente… lo strano bisogno di tornare…sulle scale, che avevano ospitato una stagione straordinaria della sua vita, legata all'amicizia con l'altro personaggio centrale…Giovanni", tragicamente ucciso da se stesso e dalla sua disgraziata vita.
Non è il caso di entrare nella trama del racconto e la stessa cosa vale per "Via Gemito" di Starnone, per invitare i qui presenti a leggere personalmente questo libro "Napoli: luoghi letterari" che fa una lucida sintesi e invoglia a leggere questi autori, di cui si possono ora reperire i titoli in libreria. Tale sorte non è quella di Bernari, che costringe i lettori a recarsi in Biblioteca, il che farebbe pensare comeottima cosa la ristampa da parte di qualche buon Editore, almeno di "Speranzella".

 

GIACOMO GARZYA

Questo testo da me letto il 28 febbraio 2014, è stato in gran parte pubblicato in CHIAIA MAGAZINE, Anno IX, numero ½ - febbraio/marzo 2014.

 



 

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