TREDICESIMA RACCOLTA: “I SASSI PARLANO”, Napoli 2016

GIACOMO GARZYA, “I SASSI PARLANO”, NAPOLI 2016, IUPPITER EDIZIONI

 

Prefazione di Anna Esposito

 

Le poesie di questa tredicesima raccolta del poeta Giacomo Garzya sono state lette da me quasi “in itinere”; un muto appuntamento sul cellulare notificato da un segnalino, mi invitava a leggere la poesia del momento; come una cronaca quotidiana, ogni stimolo diventava spunto per una trasformazione in versi del suo sentire.

E’ stato facile  penetrare nell’altalena dei suoi versi, che mi hanno indotto a riflettere ed hanno fatto emergere in me emozioni riposte in qualche angolo del mio animo, e sono tali riflessioni, tali emozioni che vorrei descrivere.

Il mio punto di partenza è stata la “parola”, essa può cambiare uno stato d’animo, può trasformare l’umore, alleggerire o appesantire un evento, influenzare il proprio quotidiano, la propria  vita, la vita di un paese…ed altro ancora. A volte le parole possono suscitare reazioni che inducono chi ascolta ad usare altre parole, dando il via ad un dialogo, un alterco, un confronto.

Le parole di un poeta, invece, quando penetrano nel profondo, inducono spesso al silenzio, quasi per non turbare il loro viaggio verso un luogo che è al di là della mente; esse hanno qualcosa di magico, possono trasportare l’essere umano in una dimensione di pura trascendenza, di religiosità, di connessione col divino che è in ciascuno di noi, dove non c’è più interferenza tra l’uomo e l’esistenza,  ed il sentire personale diventa universale…..

qui…alla Corricella c’è tanta luce, tanta quanta può avere l’umore benevolo di chi guarda oltre le nasse, oltre l’orizzonte, ché  è oltre l’orizzonte che puoi incontrare la tua anima….

…chi è il padre di Dio?  E tu rispondi, il cerchio , la retta, il punto non hanno un inizio, non hanno una fine.

….queste parole inducono la mente a tacere, è nel silenzio che riecheggiano,  è il silenzio che parla.

Le parole di Giacomo sono campane tibetane… emanano cioè vibrazioni che hanno il potere di far affiorare grovigli di sensazioni…blocchi emotivi…profonde ferite mai dimenticate… Qui l’emozione diventa parola!

Le onde impazzite, racconta, del mare, quando esaltano e lacerano insieme l’anima, nel ricordo delle tempeste in ciascuno di noi, ….”

Il delirio del vuoto, l’angoscia, come quando ci si perde per strada, nel freddo gelo
d’una metropoli e il cuore alla ricerca d’un segno impazza, d’un viso nella moltitudine,…

Le parole di Giacomo rivelano  la forza del suo sentire…..ovunque ho trovato la qualità dell’amore, espresso in tutte le sue forme, come energia prorompente che straripa dai suoi versi, …l’emozione qui è incontenibile come uno tsunami, travolge il lettore, lo conquista, qui le parole sono forza universale, come la gravità , il magnetismo…

Ti amo come l’acqua , il pane.”

Le carezze degli innamorati riscaldano i corpi nudi…..nell’amplesso ritmato su una rotaia, che corre verso un piacere infinito“.

Amo perdutamente riamato, libero, assolutamente libero, il mio amore…

la vita è un dono per chi…ha tanta voglia di amare…”

…..ovunque nelle poesie di Giacomo affiora un animo che non conosce finzioni o riserve, che non si nasconde, è un denudarsi, un abbandonarsi che assolve la sua natura umana e fa pensare alla qualità dell’ “innocenza”…., non si copre l’innocenza, non simula, non si difende…l’innocenza vuole un cuore nudo…una mente sgombra da ipocrisie.

L’uomo “innocente” non indossa un salvagente, si espone al rischio di delusioni e sofferenze e vive senza requie il suo sentire.

“….ma tu c’eri, aggrappato al sonno, divorato dal sogno, che minava la tua pace, presago dei giorni a venire, o piuttosto specchio del tuo passato, ingombrante,
agitato, come le lenzuola smosse,
 ……”

“...lí sui pontili a guardare la tempesta, che deve passare….”

…come pece il mare di notte, quando non vuoi ricordare il cuneo conficcato nella tua mente….”.

Le parole di Giacomo, da lui sapientemente ordinate, danno luogo a versi di una bellezza che trascende le parole stesse ed il loro significato, esse danzano musicali e ritmiche come note, si possono ripetere all’infinito, come un mantra, perdendo forma per diventare solo armonia:

la parola del cuore è nel suono dolce del suo battito…”

Il sorriso improvviso del sole gli occhi distoglie dall’ombra oscura del mare…”, 

Luna velata, come donna pudica, celi discreta il dolce profumo d’un amore sbocciato…. “

Altrove le parole diventano angoscia ….

Era lunga l’attesa e le sue unghie erano assediate dai denti, corroso lo smalto, dilaniato l’indice……”

….si fanno taglienti come lame….

Più del cobra può uccidere l’aspide, una vipera che serbi in seno, la lingua biforcuta”

…. fredde, metalliche…

Era un robot ….rotelle su rotelle a stridere,…cigolava anche il cervello …un robot a sangue freddo senz’anima...”.

A volte sembrano quadri, dipinti con poche pennellate, ma pure così precisi e dettagliati nei particolari….

“…..dove i colori delle reti delle case e dei gatti bisticciano tra loro a chi è piú forte e bello a chi è piú pastello, e tu regina, splendi col nome di Corricella, l’amore nel cuore sempre”.

            Nelle parole di un poeta anche la storia diventa poesia.

E qui penso che Giacomo Garzya ha superato Giacomo Garzya.  Di singolare bellezza infatti è la storia del popolo cubano, raccontata attraverso gli occhi del Marlin  con un ritmo cadenzato che cattura la mente e lo spirito.  Ed è proprio il ritmo che Giacomo imprime al suo raccontare  l’elemento che lo rende così attraente.

E’ un poemetto talmente ricco di  emotività e di messaggi che non è sufficiente una sola lettura per comprenderne la portata…si ha l’esigenza di  leggerlo più volte e più si  legge e più si scoprono angoli di infinita bellezza…ed ogni volta che si chiude la lettura  non si chiudono le immagini e le emozioni che lasciano turbati.

Trovo superlativo il contrasto tra l’immagine iniziale dove le forze della natura sono in totale dinamica armonia:

E il Marlin era lì ad ascoltare il brusìo sommesso del mare, tutto baciava le onde, il sole il vento, dell’oceano infinito……”

….e le immagini successive dove la stessa natura è pregna di orrore per le  stragi  che hanno sconvolto il popolo di Cuba.

E il Marlin vide il cielo irrorarsi di sangue per le stragi degli indios….e vide gli avvoltoi cibarsi delle carogne dei vinti.….”.

Scorrendo i versi  si prova l’emozione di essere lì sul mare a guardare con gli occhi del Marlin la sequenza degli eventi, tragici atti di una storia, tra le tante, giustificata e dimenticata. Le parole qui  si fanno ” pietre” che gravano su  una umanità che guarda impotente, ma non per questo meno colpevole, alle stragi del passato ma anche a quelle dei nostri giorni .

A volte dalle parole di Giacomo appare il suo “ego”, il suo “sentirsi poeta”, una sorta di “orgoglio intellettuale” fa capolino tra le righe…

“…tu puoi scoprire un luogo….da te dipende…tanta è l’abitudine a non vederlo per niente. Ma quando sei un poeta a te nulla sfugge….

“….….ma qual è il tempo di un poeta?….quello di vedere ciò che tanti non vedono….

….e qui è molto facile che un lettore disattento diventi, a sua volta, vittima del proprio ego, dell’orgoglio di un uguale sentire, senza avere le parole di un poeta.

Se invece questi versi si leggono con animo ricettivo, sgombro da preconcetti, affiora la definizione che Giacomo stesso dà alla parola “poeta”….non è solo colui che va verso gli altri con l’alchimia delle parole…è poeta anche chi non ha questo dono ma del poeta ha l’animo….

un animo osservatore fedele della umana natura…

…ma quando sei un poeta a te nulla sfugge….e quel luogo avrà una voce, un profumo, un alito di vento che lo renderà unico, riconoscibile solo a te che lo ami…

Questi muti messaggi che arrivano da un luogo, da una persona, da uno stare, si “sentono”….”si riconoscono”….non occorrono parole per percepire quel profumo o quell’alito di vento….anche una sola parola potrebbe essere di troppo.

Ma allora quale ruolo hanno le parole di un poeta? Esse scuotono l’anima di chi le comprende, nella loro semplice armonia rendono consapevole del proprio sentire colui che le legge, rendono “visibile” al lettore l’amore verso un popolo, o verso un luogo, o verso la propria donna, l’amore paterno, l’amore profano, la gratitudine, la sofferenza, il dolore…

Ma non tutti “comprendono” le parole di un poeta, a volte esse non vanno oltre l’orecchio,  così come la definizione di luce non aiuta un cieco dalla nascita a comprendere cosa sia la luce: costui potrebbe ripeterne la definizione in modo preciso, puntuale,…. ma non ne avrebbe conoscenza, mentre colui che la percepisce semplicemente sa … oltre le parole!

Allo stesso modo, la superficialità di chi  non “sente” , non “riconosce”,  l’incapacità di guardarsi dentro, in generale lo stare  alla periferia del proprio essere, fanno da ombrello alle parole, anche a quelle di un poeta.

Chi, allora, si lascia invadere dalle sue parole?

Colui che ha l’animo del poeta, anche se non ne ha le “parole”, che vibrano e fanno affiorare ciò che già ha dentro di sé….che già esiste in qualche parte riposta del suo essere… , ma che non sa comunicare con la forza della poesia.

Questo è il grande dono che Giacomo Garzya ha e che fa a tutti noi quando usa l’alchimia delle parole!

Il senso di gratitudine che ora esprimo a Giacomo, sono certa, è comune a tutti coloro che lo conoscono e che lo amano.

 

 

ROSA DEL SAHARA

 

 

In un deserto senza tempo

nel Marocco mio amico,

di gesso cristallino

i tuoi petali abbracciano

i cuori più puri,

come le rose di maggio

carnose e rosse,

incendio e fuoco

dentro di noi.

 

Napoli, 26 ottobre 2015

 

 

A UN ANNO

 

 

Luna velata,

come donna pudica,

celi discreta il dolce profumo

d’un amore sbocciato

alla luce delle lampade,

come te d’argento soffuse,

d’una strada che ricorderà

il primo bacio,

come il primo ciclamino

d’autunno.

 

Napoli, 26 ottobre 2015

 

 

L’ESTASI

 

 

Il tuo deliquio

si riversa sui cuscini,

tu esanime nell’ abbandono

il viso dolcissimo

le labbra socchiuse

nel gemito per un piacere

infinito,

gli occhi socchiusi ubriachi

sull’amore tuo.

 

Napoli, 7 novembre 2015

 

 

NOI

 

 

Le carezze dolci degli innamorati,

come le trasparenze dell’alabastro

sull’alcova,

riscaldano i corpi nudi

liberi da ogni pudore

nel vincolo del loro amore

nell’amplesso ritmato su una rotaia,

che corre verso un piacere infinito.

 

Napoli, 13 novembre 2015

 

 

LE LABBRA

 

 

Mi sono confuso nella tua ombra,

gioco con i tuoi capelli

negli angoli più nascosti del giorno

aspettando la sera

inerme tra le tue braccia,

le labbra sulle labbra.

 

Napoli, 20 novembre 2015

 

 

TU, AMORE

 

 

Bellissima la tua voce,

come l’onda delle arpe

al tempo di Saul, Davide

e Salomone.

Bellissima la fiamma

che brucia nel tuo cuore col mio,

in un amore infinito.

 

Napoli 25 novembre 2015

 

 

E LE STELLE VIVONO

 

 

Ogni stella

è una parola d’amore per te,

ogni stella

è un bacio sul tuo collo

dolce come il miele

e il brivido  è in me

quando ti guardo e tu mi sorridi

al chiarore del firmamento.

Ogni stella

è testimone del nostro amore

e questa fiamma arde nell’universo

e è gioia per gli angeli.

Ogni stella

vive della tua luce, amore.

 

Napoli, 27 novembre 2015

 

 

NAPOLI È TUA

 

 

Le luci del golfo

sono  il tuo sorriso,

Napoli è tua

dai vicoli colorati di giorno

ai vicoli innamorati di notte

e le tue mani tremano sul suo viso

in una carezza che socchiude a un bacio

a un abbraccio che renda calda la notte.

Napoli è tua

è tua sempre in ogni stagione

e le luci del golfo sono il tuo sorriso.

 

Napoli, 28 novembre 2015

 

 

STRETTI STRETTI

 

La mano intrecciata alla mano
stretti stretti
abbracciati al mare d’argento,
che coglie l’amore infinito in noi,
e romba mugghia urla
la felicità nostra,
noi come dolci amorini
liberi di amarci nel vento.

Marina del Cantone, 29 novembre 2015

 

 

AI CONFINI DEL SOLE

 

 

E con Afrodite

si congiunse Vulcano

nelle tenebre della terra

e le scintille fusero il rame

e lo stagno in bronzo

e l’Etna e lo Stromboli eruttarono

fino a Thirà,

ma la dea pensava solo al suo amore,

a un amore alla luce del giorno,

su un carro lanciato da Pégaso

ai limiti del mondo,

ai confini del sole.

 

Napoli, 3 dicembre 2015

 

 

YOAV LEVANON

 

 

Di fragilissimo cristallo le tue dita

la tua anima il tuo viso

leggeri volteggiano sui tasti

e suoni divini rendono i cuori

vicini ai corpi celesti.

Tutto il bello da te bambino,

pervenuto qui a significare

l’umana grandezza,

che vince l’odio

di chi uccide l’idea di Dio

nel nome di Dio.

 

Napoli, 5 dicembre 2015

(dal concerto tenuto al Teatro San Carlo,

il 4 dicembre 2015)

 

 

NINNO

 

 

E la fata turchina
colmó di doni
il piccolo embrione
e questi era buono
come Pinocchio
e ascoltava ninne nanne
docile docile
abbatuffolato nel grembo.
E la fata turchina
gioiva al respiro del ninno
e ardeva al pensiero
d’un piccolo bacio.

 

Capri, 8 dicembre 2015

 

 

LA TUA LUCE

 

Sei una luce nella notte
e lo splendore dei tuoi occhi
oscura la luna come in un’eclissi,
che nasconde i lati brutti del mondo.
La luce dei tuoi occhi innamorati
splende sempre e dà senso alla vita,
alla mia vita, un tempo ricoperta
di secca legna, ora di muschio,
di vellutato muschio lucente.

 

Napoli, 9 dicembre 2015

 

 

TRASFIGURA L’AMORE

 

Tu vedi la stanchezza,

gli anni allo specchio,

ma, quando sei in amore

gli occhi negli occhi

le labbra sulle labbra,

tu sei un sogno,

che offusca le rughe del tuo soffrire

le pene del vivere,

allora tutto

proprio tutto leggi sul viso,

l’amore che ricevi

l’amore che dai,

così che quando mi guardi

e io ti guardo

le tue rughe sono nel nulla.

 

Napoli, 19 dicembre 2015

 

 

CORRICELLA

 

Scendevo gli scalini irti
inebriato del tuo profumo
di donna amorosa, felice
e bella,
giù fino alla marina,
dove i colori delle reti

delle case e dei gatti
bisticciano tra loro
a chi è piú forte e bello
a chi è piú pastello,
e tu regina,
splendi col nome di Corricella,
l’amore nel cuore sempre.

 

Procida, 23 dicembre 2015

 

 

MARLIN

 

A Jeff Matthews

 

 

E il Marlin

era lì a ascoltare il brusio sommesso

del mare,

tutto baciava le onde,

il sole

il vento

dell’Oceano grande infinito,

del golfo dei Maya,

del Mar dei Caraibi.

 

E il Marlin

vide ondeggiare le palme reali

e tutte le palme,

per la forza degli uragani

per le forze del male

e vide i pellicani nascondersi

nel loro becco,

non più a tuffarsi nel mare.

 

E il Marlin

vide il cielo irrorarsi di sangue

per le stragi degli indios

e per l’eroica morte di Hatuey

e vide gli avvoltoi cibarsi

delle carogne dei vinti,

gli avvoltoi sempre in agguato

e come aquile piombare dal cielo,

a centinaia

in tutta l’isola grande di Cuba.

 

E il Marlin

vide correre in cerca d’oro e argento

pirati e corsari

e vide L’Avana invasa dal fuoco

delle nemiche bombarde

e gli accecanti bagliori

dei cannoni sui vascelli imperiosi.

 

 

E il Marlin

sentì delle fruste lo schiocco

sulla pelle dei neri schiavi,

dall’Africa giunti a forza

a lavorare canna e tabacco

e sentì e vide i neri

cantare e ballare

nel ricordo delle radici lontane,

ammantati di tanti colori

quanti erano i villaggi dell’Africa.

 

E il Marlin

vide spezzarsi le catene dei neri

e gli spagnoli imprecare

contro la poesia e il coraggio

di José Martì

e vide la lotta per la libertà,

che fu lunga.

 

E il Marlin

vide il lusso degli Hotel e delle case

e donne scollate

sulle sfavillanti cadillac dei gringos,

in corsa verso il piacere dei sensi

e la voglia di annegare  nel rum

più pregiato del Mar delle Antille.

 

E il Marlin

vide la povera gente

vivere di semplici cose,

ogni giorno, ogni minuto

al ritmo di son, rumba e salsa

e vide il grande divario

tra poveri e ricchi

e non solo all’Avana,

dove le case di chi ha nulla,

è uno sproposito dirle case.

 

E il Marlin

vide cadere il corrotto Batista

per mano del Che e di Castro

e la Revoluciòn fu il nuovo per Cuba

e vide i cubani inneggiare a Fidel

e lesse nei volti creoli e

mulatti

la gioia di ricevere e dare,

d’amare la vita e sorridere

alla cattiva sorte della povertà

e della fame.

 

E il Marlin

vide le scuole piene di bimbi a studiare,

ché l’ignoranza non porta a nulla.

 

E il Marlin

ammirò il coraggio del popolo

e la sua storia

e bevve la canchanchara

dei guerriglieri asserragliati

sulle sierre dell’isola

 

e si immerse di nuovo

nel mare.

 

Questa poesia lunga, abbozzata a Procida il 24

dicembre 2015, prende forma a Trinidad

de Cuba tra il 29 e il 30 dicembre e viene

completata a Cayo Santa Maria il 3 gennaio 2016.

 

 

THE  MARLIN

 

to Jeff Matthews

 

And the Marlin

was there to hear

the hum in the deep,

everything kissed the waves,

the sun

the wind

the great endless ocean

of the gulf of the Mayans,

of the great Caribbean.

 

And the Marlin

saw the royal palms sway

and all the palms

before hurricane forces

and forces of evil

and saw the pelicans

withdraw into their beaks

nevermore to dive in the sea.

 

And the Marlin

saw the sky sprinkled with blood

of the slaughter of indios

and Hatuey’s heroic death

saw the vultures rip

the rotting flesh of the conquered

the vultures always in hiding

to swoop like eagles from heaven

by the hundreds

in the great island of Cuba.

 

And the Marlin

saw pirates and corsairs

hunt silver and gold

saw Havana burn

in enemy fires

and blinding flashes

of guns from arrogant fleets.

 

And the Marlin

heard the crack of whips

on the skin of black slaves

forced from Africa

to work cane and tobacco

and heard and saw them

sing and dance

to recall their distant roots,

cloaked in the many colors

of their many homes in Africa.

 

And the Marlin

saw the blacks break their chains

and the Spanish curse

the poetry and courage

of José Martì

and watched the long fight

for freedom.

 

And the Marlin

saw the grand hotels and houses

and brazen women

in glistening gringo cadillacs,

rush to pleasures of the senses

to drown themselves

in Antilles rum.

 

And the Marlin

saw the poor

who live from simple things

every day and minute to rhythms

of rhumba, son and salsa,

saw the great divide

between rich and poor

not just in Havana where

the homes of those with nothing

are not worthy of the name.

 

And the Marlin

saw corrupt Batista fall

to Che and Castro

saw new Cuba with her Revoluciòn

saw the Cubans praise Fidel

read in Creole and Mulatto faces

the joy of giving and receiving,

of love of life and smiling

at the olden lot of poverty

and of hunger.

 

And the Marlin

saw children fill the schools to study,

for ignorance leads to nothing.

 

And the Marlin

marveled at the courage of the people

and their history

and drank the canchánchara

of warriors at the barricades

in the high sierras of the island

 

and dropped back down

into the sea.

 

This long poem was drafted on Procida on 24 December 2015 and took further form

in Trinidad de Cuba on 29 and 30 December; it was completed in Cayo Santa Maria on 3 Januuary 2016.

 

MARLIN

 

Y el Marlin
estaba allí para escuchar el tenue
rumor del mar,
todo besaba las olas
el sol
el viento
del océano grande infinito,
del Golfo de los Mayas,
del Mar del Caribe.

Y el Marlin
vio ondear las palmas reales
y todas las palmas,
por la fuerza de los huracanes
por las fuerzas del mal.
y vio a los pelícanos esconderse
en su pico,
para nunca mas sumergirse en el mar.

Y el Marlin
vio el cielo salpicarse de sangre
por la matanzas de indios
y por la heroica muerte de Hatuey
y vio los buitres alimentarse
de la carroña de los vencidos.
Los buitres siempre al acecho
y como águilas se desploman del cielo,
centenares,
en toda la gran isla de Cuba.

Y el Marlin
vio correr en busca de oro y plata
piratas y corsarios
y vio La Habana invadida por el fuego
del bombardeo enemigo
y por el cegador resplandor
de los cañones de las imperiosas flotas.

Y el Marlin
sintió el chasquido de los látigos
sobre la piel de los negros esclavos,
a la fuerza separados de África,
para trabajar en la caña y el tabaco
y sintió y vio a los negros
cantar y bailar
en el recuerdo de las lejanas razas,
cubiertos de tantos colores
como aldeas habían en África.

Y el Marlin
vio quebrarse las cadenas de los negros
y los españoles imprecar
en contra de la poesía y el coraje
de Jose Martí
y vio la lucha por la libertad
que fue larga.

Y el Marlin
vio el lujo de hoteles y casas
y mujeres escotadas
sobre los centellantes Cadillacs de los gringos,
acelerados sobre el placer de los sentidos
y el deseo de ahogarse en el ron
más presiado del Mar de las Antillas.

Y el Marlin
vio la pobre gente
vivir de simples cosas,
cada día, cada minuto,
al ritmo del son, de la rumba y la salsa
y vio la gran diferencia
entre ricos y pobres
y no solo en La Habana,
donde la casa de quien no tiene nada,
es un desatino decirle casa.

Y el Marlin
vio caer al corrupto Batista
por mano del Che y de Castro
y vio una nueva Cuba con su Revolución
y vio a las cubanos aclamar a Fidel
y leyó en sus rostros criollos y mulatos
la gloria de dar y recibir,
de amar la vida y sonreirle
a la mala suerte de la pobreza
y del hambre.

Y el Marlin
vio las escuelas llenas de niños estudiantes,
porque la ignorancia no aporta nada.

Y el Marlin
admiró el coraje del pueblo
y su historia
y bebió la canchanchara
de los guerrilleros atrincherados
en las Sierras de la Isla.

Y se sumergió de nuevo
en el mar.

 

Questo poemetto, abbozzato a Procida il 24

dicembre 2015, prende forma a Trinidad

de Cuba tra il 29 e il 30 dicembre e viene

completato a Cayo Santa Maria il 3 gennaio 2016.

 

(trad. di Andriz Lopez Garcia)

 

 

TU SEI

 

Tu sei
qualcosa di vero
legato al sapore del mare,
tu sei la luce quando il sole
si infrange nel mare,
tu sei il sorriso

quando il plenilunio
è pieno di te.

 

Napoli, 21 gennaio 2016

 

 

INCA

 

A Nico Donno

grande viaggiatore

e grande amico

 

Nacque

dal Titicaca lucente,

che un giorno io vidi profondo

fino a Taquile,

la storia degli Inca

figli del Sole,

quando emerse

dalle gelide acque,

della terra le più alte,

Manco Capac,

figlio del padre di tutti gli dei,

il primo inca

il re dallo scettro d’oro,

il re che nell’ombelico

del mondo,

Cusco fondò,

la città forte degli Inca.

 

Tre secoli

l’impero durò

e con Pachacutec fu grande

e col figlio Tùpac

delle Americhe, il più vasto

e potente,

fin quando morì

Huayna Capac

conquistatore di terre

e fu guerra tra i figli

e fu la debolezza e la fine.

 

Tre secoli

la Corona di Spagna  regnò,

dal giorno in cui

Atahualpa

re del Nord e di tutte le terre

fu arso sul rogo

e le sue ceneri portarono

sgomento nel popolo

e grande rovina.

 

Fu allora che i condor

dal canyon del Colca,

che un giorno io vidi profondo,

la libertà sulle Ande

cercarono,

ché il giogo spagnolo

fece scorrere sangue,

tanto sangue che straripò

l’Urubamba

fino a Ollantaytambo

fino a Machupicchu

la città del culto del sole,

che tutto intorno domina

le sacre montagne degli Inca.

 

Fu allora

che Virachoca

padre di tutti gli dei

padre e madre

di Mama Quilla, la luna

e di Inti, il sole splendente,

pianse abbracciato

stretto stretto

all’arcobaleno e alla folgore.

 

Fu allora

che le forze dei fiumi

dei laghi

degli alberi

delle sacre montagne

si scatenarono in un urlo

nel vento.

 

Fu allora

che il Misti

e tutti i vulcani

eruttarono rabbia

e cenere

e i sacerdoti sacrificarono

i bimbi sulle alte montagne,

cime del mondo del ghiaccio

perenne.

 

Fu allora

che Juanita si svegliò

dal suo torpore di morte

e dall’Ampato maledì Pizarro

e le bandiere di Spagna,

lei sacrificata agli dei,

lei vergine del sole,

lei inca.

 

Napoli, 23-24 gennaio 2016, da ricordi del mio viaggio

in Perù nel luglio 2013

 

 

INCA

 

To Nico Donno

a grand traveller

and great friend

 

Here in the shining lake

of Titicaca,

where once I deeply saw

to distant Taquile,

begins the tale of Inca,

these children of the sun,

when Manco Cápac,

son of the father of all gods,

the first Inca

king of the golden scepter

stepped from icy waters,

the highest on earth,

the king who founded

at the center of the world

Cusco, the Inca stronghold.

Three-hundred years

the empire lasted

grew great with Pachacutec

and Tùpac, his son,

grew all-mighty, vast

in the Americas

until the death

of Huayna Capac

conqueror of lands,

then the children warred

grew weak and perished.

Three-hundred years

the crown of Spain ruled

from the day when

Atahualpa

king of the north and all lands

burned at the stake,

his ashes brought

dismay and ruin to the people.

 

Then the condors

of Colca canyon

that once I deeply saw in distant flight,

sought freedom in the Andes

and the Spanish yoke ran red,

blood to overflow

the Urubamba

all the way to Ollantaytambo

and Machupicchu

the city of the sun cult

where roundabout ruled

the sacred peaks of Inca.

Then Virachocha

father of all gods

father and mother

of Mama Quilla, the moon,

of Inti, the splendid sun,

wept in tight embrace

of rainbow and

of lightning.

 

Then from the forces

of the rivers

the lakes

the trees

the sacred heights

went forth a scream

in the wind.

 

Then Misti

and all the mounts of fire

vented rage

and ash

and holy men

gave children

to ritual death at altars

on the peaks of this world

of timeless ice.

 

Then from Juanita
awakened from lifeless sleep
from high Ampato to curse Pizarro

and the flags of Spain
from her – given to die for gods
from her – the virgin of the sun,
from her– Inca.

Naples, 23-24 January 2016, memories

of my trip to Peru in July 2016

 

(trad. di Jeff Matthews)

 

 

 

L’ANGIÒLA

 

 

L’angiòla
era lì sulla barca,
presa all’amo, non più
libera,
metafora della libertà,
che la sensibilità scuote
di chi la perde,
la coscienza di chi la toglie.
Eppure la vita corre comunque,
liberi o servi delle passioni,
che si appartenga alla terra
o al mare, al finito o
all’infinito.
Tu, in verità, mia angiòla
sei libera anche
da morta e io che vivo amo
i flussi e riflussi del mare,
anche quando è come un lago
senza anima e vita,
amo perdutamente riamato,
libero,
assolutamente libero,
il mio amore,
come angelo sulla terra,
sempre presente,
mio per sempre.

Termini, 30 gennaio 2016

 

 

CASHMERE

 

 

Quella sciarpa preziosa
sul viso
fino agli occhi,
che irradiano
dolcezza infinita e amore,
è poesia,
come quando le stelle Tuareg
dall’universo sciamano
nel dolce sorriso del cuore
e coprono il tuo collo di baci
imbevuti di me ape,
che sorride
col miele, oro argento e amore.

 

Napoli, 7 febbraio 2016

 

 

IRLANDA

 

 

Il sole frusciava fra l’erba
e la pioviggine
fresca di gioventù
dalle Aran, figlie di Oceano,
riempiva il cuore d’Irlanda
di verde speranza,
l’isola dove era permesso
sognare fantastiche storie
di dei, re, uomini e maghi,
di torri, castelli tetragoni
ai confini del mondo.
Baluardi di celti, angli
e normanni,
sulle cui rocce cantava
il suono del mare,
cantava il vento possente
dell’Ovest.

 

Irlanda dei miei ricordi,
quando sei felice,
sconfinato di baci è il mare
l’universo delle stelle regine
l’amore quando ci si ama
in un solo corpo
in una sola anima,
come libellule,
quando insieme si specchiano
nell’acqua
quando libere s’intrecciano
nel volo
nel volo libero della vita.

 

Irlanda dei miei ricordi,
quando sei felice,
tempestato di baci è il tuo collo
come quello dei cigni immortali
vere divinità dei laghi,
delle tue campagne verdi,
dove il mare batte violento
e le arpe incantano le rocce
del Connemara
dell’Ovest.

 

Irlanda dei miei ricordi,
il sole frusciava fra l’erba
e fulvi scoiattoli e cervi
videro i figli di Lir, il re buono
ma dalla sposa malvagia,
tramutarsi da bianchi cigni,
di nuovo, in fragili bimbi
e li videro appena cristiani
morire.
E così la croce celtica divenne
cristiana
e i monasteri nacquero
come la chiesa di Patrizio
a Armagh
e iniziò la storia d’Irlanda,
dopo nebbie e leggende,
che avevano reso questa terra
lontana
ai confini del mondo
fertile sogno d’eroi e veggenti,
come Finn McCool
guerriero tremendo,
Cùchulainn,
vincitore del toro di Cooley,
e morto per gli stregoni
di Maeve regina di eserciti.

 

Irlanda dei miei ricordi,
mai romana,
ma da pagana cristiana,
terra di conquista delle genti
di Borea,
quando patisti il ferro e il fuoco
di Enrico Ottavo Tudor
di Elisabetta la vergine
e di Cromwell spietato,
tutto si tramutò in rovina,
anche la lingua dei Celti
e il culto della Chiesa di Roma.

 

Irlanda dei miei ricordi,
si alzarono nebbie e tempeste
dalle ripide scogliere del Burren,
che io vidi magnifiche fino a Moher,
e le speranze spensero d’un’isola
libera dal giogo britannico,
libera di cantare e danzare nel segno
dei padri,
il tallone inglese sempre
sul petto.
Tante volte, invano, i cattolici
si sollevarono contro le inique
leggi penali, privati di tutti i diritti,
i preti a celebrare le messe
nelle tenebre, come i primi cristiani,
i contadini a patire il freddo e la fame,
deportati nelle lande più povere
e selvagge dell’isola
e in tanti scapparono l’umiliazione
e la morte su navi malconce
e luride, come avviene oggi
nel Mare Nostro, sepolcro
d’uomini dell’Asia e dell’Africa.
Solo Daniel O’Connell
perorò con successo la causa
dei poveri,
parlando alle folle di libertà e di pace,
in difesa dei calpestati diritti.
Venne, poi, la carestia più nera,
che falciò i campi e fece strage
in ogni angolo, in ogni tugurio
dell’isola.
Milioni morirono e altrettanti
costretti furono a lasciare
l’ingrata terra dei padri
e a solcare l’Oceano, in cerca
di pane e salvezza.
Tacquero allora le cornamuse,
le arpe, i flauti
e le antiche ballate gaeliche
furono solo un ricordo,
tanta l’atmosfera cupa,
senza speranza.

 

Irlanda dei miei ricordi,
il vento della storia è grande
e tornò il canto nostalgico
di William Butler Yeats
a Sligo Bay
e nei fiordi profondi di Lough Gill
e la regina guerriera Medb
divenne Maeve nella sua poesia,

e Maud Gonne fervente patriota

e grande amore per una vita,

divenne Cathleen nì Houlihan

la vecchia donna d’Irlanda,

che i giovani a morire incitava

per la loro terra,

lei sconvolta per le quattro province

cadute in mano britannica.

La lotta per l’autonomia e la libertà

fu lunga

e la Pasqua di sangue coprì Dublino

di morti,

ma i capi della fallita rivolta

passati per le armi, trucemente,

senza pietà,

agli inglesi maggiore odio

procurarono da parte di tanti.

E la guerra per l’indipendenza

alla fine fu vinta

e allo Stato libero d’Irlanda portò,

ma dell’Ulster sei contee

in mano inglese restarono

e fu subito guerra fratricida

nel Sud,

in favore o contro il Trattato

e Michael Collins

leggendario eroe  e capo,

in un vile agguato fu ucciso,

nella contea di Cork.

Dopo trent’anni

e per venticinque lunghi anni,

scorse di nuovo sangue,

nell’Irlanda del Nord,

ma ora a Belfast e Derry,

che io vidi in un giorno di sole,

camminare si può in pace,

e in tutta l’isola si canta

e si danza al suono dei melodion

e delle uillean  pipes,

le Bloody Sundays

solo un tragico amaro ricordo.

 

Irlanda dei miei ricordi,

il vento della storia è grande.

 

Napoli, 11-20 febbraio 2016

 

 

IRELAND

 

 

Sunlight rustled in the grass,

a light rain fresh with youth from

the isles of Aran, children of Oceanus,

filled the heart of Eire with green hope

this island where you dream

of wonder, gods, kings,

men and wizards,

tales of towers and stout castles

at the ends of the world.

Stronghold of Celts, Angles, and Normans,

where the rocks sing

the sounds of the sea

and the strong wind from the west.

 

Eire of my memories

when you are happy

boundless with kisses and sea

a universe of queenly stars

when you love as

a single body and single soul

like dragonflies

mirrored in water

freely entwined in flight

the free flight of light.

 

 

Eire of my memories

when you are happy

inflamed by kisses

your neck like that of deathless swans

true lake gods of your green fields

where the wind batters

and the harps enchant the rocks

of Connemara in the west.

 

Eire of my memories

sunlight rustles the grass

where tawny squirrels and deer

saw the children of good king Lir,

changed to white swans

by the wicked queen and then turn back

to gentle children

and die in Christian faith.

Thus the Celtic cross turned Christian

and monasteries grew

like Patrick’s church

at Armagh

to start the tale of Ireland

after fog and legend

had set this land away

at the far rim of the world,

fertile dreams of seers and heroes

like Finn McCool and great warrior

Cùchulainn,

who vanquished the Bull of Cooley

and died at the hands of

the wizards of Maeve, queen of armies.

 

Eire of my memories

never Roman

but Christian pagans

land of conquest of the people

of Borea,

when the iron and fire

of Henry VIII of Tudor

of Elizabeth the virgin queen

of pitiless Cromwell

joined to smash it to ruin,

even the Celtic language

and the faith of the church of Rome.

 

Ireland of my memories

fog and storm

rose from the steep cliffs of Burren

where I saw their splendor

all the way to Moher,

and the hopes of a free island died,

free from the British yoke,

free to sing and dance

as their fathers had done

always the British heel

upon their breast,

oft in vain

Catholics rose against

the baneful laws,

bereft of rights,

sacred mass in deepest night

like the early Christians,

peasants starved and cold

banished to the poorest

savage bits of land

many fled the shame and death

on filthy battered ships

as today on Mare Nostrum,

tomb of Africans and Asians.

Only Daniel O’Connell

plead and won for the poor

and spoke of freedom and of peace

in defense of rights downtrodden.

Then the darkest famine

lay waste the fields

and ravaged every corner

every hovel of the isle.

Millions died and as many fled

their fathers’ ungrateful land

to cross the ocean to seek

bread, salvation.

Then the pipes, the harps and flutes

grew silent

the ancient Gaelic tales

were just a memory

as dark as hopeless air

 

Ireland of my memories

the winds of history are strong

the nostalgic songs of yesterday

returned with William Butler Yeats

at Sligo Bay

and in deep fjords of Lough Gill,

the warrior queen Medb

turned to Maeve in his verses

and Maud Gonne fervent rebel,

grand love of his life

was Cathleen nì Houlihan

Poor Old Woman of Ireland

calling the young

to die for the land,

for their four provinces

in the hands of the British.

Independence and freedom

the fight was long

the Easter Rising swept Dublin

with the blood of the dead

those who led the revolt,

slaughtered without mercy,

led yet more to hate the English.

But the war for freedom was won

and led to the Irish Free State,

yet six counties of Ulster

remained with the English

and set in the south

brother against brother,

for or against the Treaty,

and Michael Collins

chief and hero of legend

foully shot down

in the county of Cork.

After 30 years

blood flowed again for 25 years

in the north,

but now you walk in peace

in Belfast and Derry

that I saw on a sunlit day,

there is song in the island

there is dance to the sounds

of the melodion and uilleann pipes,

the Sundays of blood

are a tragic and bitter memory.

 

Ireland of my memories,

the winds of history are strong.

 

Naples, 11-20 February, 2016

 

(trad. di Jeff Matthews)

 

 

I SASSI PARLANO

 

 

I sassi parlano delle mareggiate,

sono scomposti,

ma poi si stringono insieme

per la forza del mare

e hanno bisogno del calore del sole

per sorridere ai colori del cielo

e fanno pensare ai tuoi occhi smarriti

quando non leggi nei miei

la gioia del giorno,

e allora, come i sassi, ci si stringe

forte forte per quel calore,

per quei colori,

per quella resistenza all’onda avversa,

che riportano la gioia di amare

e vivere insieme una vita.

 

Anche i sassi hanno un’anima.

Marina del Cantone, 20 febbraio 2016

 

 

TEMPESTE

 

 

Di Alessandro Scarlatti
una sinfonia non scritta
ho ascoltato,
in una cappella sul ciglio
del mare, fatto di aghi bianchi
e trasparenti cristalli.
Le onde impazzite, racconta,
del mare, quando esaltano

e lacerano insieme l’anima,
nel ricordo delle tempeste
in ciascuno di noi,
eterno movimento dello spirito,
ora flauto
ora oboe
ora violoncello
ora dolore
ora gioia,
nel teatro barocco e mistico
della nostra vita.

 

Marina del Cantone, 28 febbraio 2016

 

 

UN SOGNO

 

La luce d’un lume sfiorava
le palpebre,
tutto era incerto
l’ora, il giorno o la notte,
ma tu c’eri, aggrappato al sonno,
divorato dal sogno, che minava
la tua pace, presago dei giorni
a venire, o piuttosto specchio
del tuo passato, ingombrante,
agitato, come le lenzuola smosse,
prive del caldo torpore d’un seno
materno o d’un’amante innamorata
e gravida del tuo dolore.
La luce d’un lume sfiorava
le palpebre,
ma un sussulto vibrava le ciglia,
tutto era ora reale, il sogno svanito
nel nulla.

 

Napoli, 1 marzo 2016

 

 

IL SORRISO DEL SOLE

 

Il sorriso improvviso del sole
gli occhi distoglie
dall’ombra oscura del mare,
gli scogli tramutati in pinnacoli
gotici,
le barche vessilli di pietra,
lí sui pontili a guardare la tempesta,
che deve passare.
Ora, di gioia squillano le campane
e il sorriso del sole è primavera
alle porte, tanto vicina,
come di chi si ama, le labbra
socchiuse ai baci, dolci,
come il cinguettio dei passeri
alle prime luci dell’aurora,
l’alfa della nostra vita.

 

Capri, 5 marzo 2016

 

 

DIO PADRE

 

Sai, viandante,
chi è il padre di Dio?
E tu rispondi,
il cerchio, la retta, il punto
non hanno un inizio
non hanno una fine.

 

Napoli, 11-12 marzo 2016

 

 

FANNY, 16 MARZO

 

Il delirio del vuoto,
l’angoscia, come quando ci si perde
per strada, nel freddo gelo
d’una metropoli e il cuore
alla ricerca d’un segno impazza,
d’un viso nella moltitudine,
d’un passo noto e caro
in una stanza calda di casa,
e si vorrebbe morire per quel vuoto,
per quella perdita incolmabile
per quello strapiombo nell’anima
per quell’assenza di vita, di baci,
nel silenzio dolce della sera.

Procida, 13 marzo 2016

 

 

TU GIRASOLE

 

Ti tratto dolcemente
come un cuore
delicato di girasole,
sensibile al vento del mare
al sole girevole di marzo
alle campane delle isole
più belle della terra d’Italia,
tu dal sorriso splendido
e dal soffio di vento
sui capelli,
per me e per sempre.

Procida, 13 marzo 2016

 

 

DIAMANTI

Cos’è una lirica
se non un distico
e un altro distico ancora,
per un amore infinito,
per un diamante
non scalfibile dalla prepotenza,
dall’odio, che scorre in ogni terra
di quest’uomo corrotto dalla sete
d’oro, di potere, di sangue,
ma le reti dei pescatori,
raccolte qui alla Corricella,
l’amore sono per l’uomo impavido
al male, per l’uomo che sogna,
per il mare di Tiberiade, di Cafarnao,
essenza ancestrale in tutti noi.

Procida, 19 marzo 2016

 

 

TI AMO

 

Ti amo come l’acqua,
il pane.

 

Procida, 19 marzo 2016

 

 

PANTHÉON

Percorrevo con te
rue Soufflot,
lo stesso passo
lo stesso pensiero
lo stesso sorriso,
arrivare ai giardini
del Lussemburgo
per godere la pace,
la vita di questa Lutezia
cosmopolita e viva di luce.
Tu sei con me anche ora,
dopo dieci lunghi anni,
nello stesso bistrot belga,
come mia madre
come tua nonna,
l’anima in pace,
in un momento di guerra
di terribile insensata guerra.

Paris, le 24 mars 2016

 

 

TRAMONTO AL LUXEMBOURG

 

Scherzavi
con le nuvole rosa e rubine
della sera,
domani è un bel giorno,
dicevi, e eri felice del tuo
Don Quijote, l’hidalgo napoletano
qui a Parigi, per scoprire con lui
un mondo fantastico di pupi
siciliani, di fantoche, poupée
e guinol, marionette
universali, gioia di grandi e bambini,
di mulini a vento, qui a Montmartre,
giganti visioni dalle braccia rotanti,
tu che volevi un mondo giocoso
irreale, buono.

Paris, le 25 mars 2016

 

 

IL DIRITTO DELLE GENTI

 

Il tuo piccolo nero moleskine
lo stesso di van Gogh, Picasso,
Hemingway,
lí sul tuo tavolo a Jussieu parlava
da solo di te,
i tuoi appunti minuti sul diritto
delle genti,
non chiuso nelle pandette ammuffite
negli studi legali, aperto, invece,
al dolore ingiusto, al desiderio
di uguaglianza
di fratellanza
di libertà e di pace.
La pace tra i popoli, utopia,
dicevi, eppure lottavi per questo,
l’ufficio dell’uomo, quello di amare,
di saper amare
per vivere, almeno un giorno, felice
di aver porto la mano.

Paris, le 26 mars 2016

 

 

PLACE DES VOSGES

 

La parola del cuore

è nel suono dolce

del suo battito,

il nostro all’unisono canta

l’amore  indissolubile felice,

come i violini di Place des Vosges,

il giardino degli innamorati,

abbracciati alle filiere di alberi,

in un giorno di resurrezione

d’amore eterno,

nel vincolo dolce dei baci,

che filtrano tra i rami spogli

e danno luce a un luogo magico,

magico come il nostro amore.

 

Paris, le 27 mars 2016

 

 

INCONSCIO

 

Dall’aurora al crepuscolo

il giorno, poi le tenebre,

ore di quiete

di sogni sereni

o mari increspati

e lo vedi dal contorcimento o meno

delle coltri,

la tua vita  riflessa nel tormento

o nella pace del sonno,

e ció che eri, sei stato, torna

per una nuova aurora,

tu seme, che germogli fiori,

messi,

secondo cicli già scritti,

la grandine si spera solo un ricordo,

ora sorriso e amore.

 

Napoli, 1 aprile 2016

 

 

IL TEMPO DEL SOGNO

 

Le emozioni libera
col respiro del mare
e sul dorso d’un delfino
immergiti

nel Tempo del sogno,
nel sacro respiro della vita.

Napoli, 4 aprile 2016

 

 

STORNI IN FESTA

 

La vita, a volte,
è una voragine buia
se la vedi con l’occhio
della testa,
una burrasca la povera testa,
ma se la vita vedi col cuore
è un cielo di storni in festa.

Napoli, 8 aprile 2016

 

 

SERPENTI

 

Più del cobra
può uccidere l’aspide,
una vipera
che serbi in seno,
la lingua biforcuta.
Il cobra lo vedi invece
intorno al collo di Shiva,
lo vedi.

 

Praiano, 16 aprile 2016

 

 

TEMPUS FUGIT

 

Un raggio di sole
le due torri a vista
la storia
un senso di pace.
Di fronte Punta Licosa
il golfo guarda,
un lago striato per i riflessi
d’argento, tanti raggi
d’una bici, che corre
verso una meta incognita,
per catturare in un attimo
il bello della vita.

 

Praiano, 17 aprile 2016

 

 

IL GALLO E LA CAMPANA

 

“Prima che il gallo canti
mi rinnegherai
tre volte”,
è il gallo di Pietro
nel palazzo di Caifa,
quello di tanti di noi
ai quattro canti del mondo,
qui a Capri
il rintocco della campana
è la voce del gallo.

 

Capri, 19 aprile 2016

 

 

ROBOT

 

Era un robot
saliva le scale irte
d’una torre normanna
lí su una luna esangue,
ingranaggi su ingranaggi
rotelle su rotelle a stridere,
cigolava anche il cervello
e il cuore viveva d’un gettito
di gelida acqua,
non più il sangue caldo
a pulsare nelle arterie,
a riscaldare a trentasette gradi
l’involucro,
ma il gelo d’un rettile
dalle squame metalliche,
un robot a sangue freddo
senz’anima.

 

Napoli, 28 aprile 2016

 

 

TRISTE OBLIO

 

Dura prova l’oblio,
la memoria ti mette alla prova,
la grande e la piccola storia,
quella dei re, degli Obama,
dei Putin,
o la storia di tanti di noi,
di chi ha vissuto una fede,
una felicità, un amore,
chimere queste?
No, importanti quando sono
sentite, vere ,
ma destinate al triste oblio
se cadono come sassi dalle rupi
dei monti,
se non fosse così non si vivrebbe
neppure un secondo di più
al dolce ricordo.

 

Sant’Angelo d’Ischia, 29 aprile 2016

 

 

AL DI LÀ DEL BENE

 

Quando l’acqua
nel calice deborda
e una cupoletta di chiesetta
greca, ortodossa, si forma
e tu, come in un’ordalia,
con mano ferma innalzi al cielo
il calice e con mano ferma
lo avvicini alle labbra
e nessuna goccia proprio nessuna
del tuo spirito sulla mensa cade,
vuol dire che sei forte, fermo,
nel giusto,
al contrario, il tuo tremolio
e le gocce in caduta libera
sul tuo petto il segno sono
della tua inquietudine
del tuo tradimento
della tua cattiva coscienza
del tuo falso teatro.

 

Napoli, 30 aprile 2016

 

 

GIORNI E GIORNI

 

Le suole si consumavano
fino al solito bar,
quell’andirivieni frenetico
in certe ore del giorno,
il caffè da otto grammi
icona qui a Napoli
di radicate abitudini
fino alle dolci luci
del pomeriggio,
poi icona il cocktail
delle prime luci della sera,
per sedare l’ansia del giorno
in certi momenti della vita,
oppure per brindare alle gioie
dell’amore, all’amore consumato
nello stretto vitale abbraccio
dei corpi.

 

Napoli, 1 maggio 2016

 

 

ACCANTO A JEFF

 

Jeff,

l’immancabile cappello a falde

su una bianchissima chioma

arricciata, la barba a arco,

senza baffi,

sangue misto come il mio,

tu di madre svizzera,

in quel di California

a seguire le orme del padre

americano.

Qui alle falde del Vesuvio,

davanti casa o al solito bar

il golfo più bello del mondo,

e tu piangi a dirotto

e io ti guardo, ti ascolto,

apprendendo ora

che ti è morto un amico,

per settant’anni inchiodato

su una sedia a rotelle,

la poliomelite senza pietà.

La vita riserva di tutto,

anche perdere l’amore

d’una donna,

accanto sempre il bastone

d’una sposa, che sa perdonare

un uomo inquieto,

alla continua ricerca di sé,

per tanti anni felici  insieme

a scoprire il bello delle cose

e a saper condividere

gioie e dolori,

come la morte d’una figlia,

appena sbocciata donna

nel segno del girasole.

 

Jeff,

il pensiero

spesso  raccolto nel silenzio,

un silenzio che parla da solo

della vita passata

di quella a venire,

della solitudine, lontano tu

migliaia e migliaia di miglia

dalla tua California.

Il tuo pianto impiastricciato

sulle tue  lenti

dice della tua sensibilità,

della tua assenza di egoismo,

della tua generosità.

In te è il sogno di bruciare l’inverno,

la pioggia, il freddo,

di  saltare dall’equinozio d’Autunno

a quello di Primavera,

onde godere la giornata più lunga,

il sole fino a tardi,

per riscaldare la tua anima

con il fuoco del Mezzogiorno.

 

Jeff,

vecchio saggio e amante di Socrate,

a me dai ogni giorno sollievo

quando la mia anima si perde

nei vicoli bui della Suburra

o nei Quartieri spagnoli di questa città

dove tutto è,

dove tutto non è,

e l’alcool aiuta a lenire il dolore,

i vuoti in ciascuno di noi.

 

Napoli, 2 maggio 2016

 

 

L’ARAUCARIA

 

L’araucaria
di fronte al castelletto
di Lamont Young
è di salute buona,
guarda osserva
i semafori alterni,
a seconda dei capricci
di chi li comanda,
ora rossi, ora gialli, ora verdi,
ora lampeggianti di giallo.
È così la vita
davanti ai capricci del vento,
che danno il giusto umore
a chi va per mare,
il disagio a chi vede il cappello
volare,
a chi vede la sciarpa
coprire i begli occhi d’una donna,
di passaggio.

 

Napoli, 3 maggio 2016

 

 

TU MONDO

 

Tu mondo, a volte, sciupi
ció che vi è di gentile
nell’animo d’un poeta,
a volte spigoloso
ombroso,
ma pur sempre un animo
osservatore fedele della umana
natura,
che è fatta di amore, di odio,
di invidia, anche di piccole
bugie, di tradimenti verso
la custode dei figli e del focolare,
poiché a volte ció richiede il cuore,
quando è preso dalla passione
dei sensi, dall’intesa nell’alcova,
dai progetti aerei,
perché tutto muti e nulla muti.
Non è il segno dei tempi,
è sempre stato così,
da Catullo a Tibullo a Properzio,
da quando ció che si crede amore
infiamma le vesti,
non pagani, invece, gli amplessi
tra Eloisa e Abelardo,
allora ludibrio delle genti,
su di loro la stolta ferocia,
fece di loro eterno amore.

 

Napoli, 4 maggio 2016

 

 

GRANDINE

 

E la grandine devastó
il narciso, il gelsomino
e dei fiori non rimase
che il gambo spoglio,
nudo, senza l’ornamento,
che alle donne
dà gioia e profumo.

Quanti petali a Assuan,
per l’essenza contenuta
in boccette di cristallo
e argento?
Milioni, quante le mani
della Nubia, del Sudan,
alzate in cielo, nel nome
di Allah.

 

Napoli, 5 maggio 2016

 

 

ANCORA SUL TEMPO

 

Il trascorrere del tempo
è commisurato all’uomo:
per uno stilita immobile
su una colonna
o per degli innamorati
è eterno, non è un tempo
che scappa,
non è un carpe diem,
per un francescano dell’epoca
di Innocenzo terzo, alle miglia,
che doveva percorrere per dare
pane, vangelo ai poveri,
salvezza ai ricchi.
per un domenicano alla durata
dei sermoni e dei processi
della Santa Inquisizione,
e così via via fino a oggi,
all’attesa della donna amata,
a volte, misurata in interminabili
ore,
ai millesimi di secondo delle
navicelle spaziali turbinanti
nell’universo.
Quindi il tempo è relativo
a ciascuno di noi,
come nei monasteri
o nei lavori dei campi,
ma qual è il tempo d’un poeta?

 

Quello di gironzolare con la mente,
quello di vedere ció che tanti
non vedono, quello di vivere storie,
le piú vere possibili, nel senso
del Verum et Factum vichiano,
per poi raccontare in versi,
anche la gioia e il dolore
dell’amore, poiché la vita
è tutta qui, ragione e sentimento
e saper cogliere
o non cogliere il bene e il bello,
il volto d’una donna,
che guarda un paesaggio
sfumato
di Turner o Constable
e che sorride ai colori del tempo.

Napoli, 6 maggio 2016

 

 

PER LA MIA NIPOTINA

 

Quel fiorellino rosa
è ancora nel grembo,
due mesi al primo vagito,
e la mamma è fiera,
placida, felice
per la giusta fioritura,
la mammina in dolce attesa
della pargoletta testolina,
che cerca già la luce
del sole dei primi di agosto,
tempo di orchidee, ortensie
e girasoli, quelli che,
nei campi di Toscana,
coglieva
l’amata Fanny, che da lassù
tutti protegge.
È così che va la vita,
la morte
e la nascita d’un fiorellino,
e Trieste
una bimbetta avrà partenopea
e triestina, che dalla culla
potrà ammirare il Miramar
e vedere i vascelli partire
con i suoi colori rosa,
che sventoleranno al borino
di prima mattina.

 

Napoli, 9 maggio 2016

 

 

PER UNA SPOSA

 

Tu il mio fiore,
solo tu esisti e semini
frutti e non zizzania,
solo tu riprendi a scrivere
e a piangere sulle tue parole.
Solo tu hai gli occhi grandi,
tanto grandi da percepire
ogni mutamento sul mio volto
un po’ segnato dall’inquietudine,

e dagli anni e solo tu vegli

il mio sonno e cogli nei miei sogni

agitati, qualcosa che non puoi capire,

ma che ora sai.
Solo tu hai gli occhi smarriti
ingemmati sul tuo bel viso
di donna, quando percepisci
un cambiamento,
ció che si frappone
tra la tua vita e la mia.
E sono quarant’anni,
con un uomo inquieto,
che ha bisogno d’un riparo
per sedare l’urlo della notte
l’urlo del dolore
l’urlo mai sfogato
per una figlia persa,
come un fiore reciso
perché bello in un vaso,
quando doveva essere
annaffiato vivo,

non brutalmente reciso,
perché potesse crescere
curato ancora e sempre,
per essere sempre amato
tra i vivi e non tra i morti

 

Marina del Cantone, 10 maggio 2016

 

 

ALLA CAFFETTIERA

 

Tu puoi negarmi un caffè
alla soglia della notte,
perché sai che non dormirei
piú e ti tormenterei con mille
domande sul perché è cosí
lungo il buio, quando tace,
molto più della luce
e perché a nord, al circolo polare,
puoi impazzire addirittura
al tungsteno freddo delle lampade,
unica fonte, che può illuminare
la mente nel ragionamento
o portarla alla follia piú cupa.
Allora solo un caffè alle sedici
e poi qualcosa che sedi l’anima
al canto dell’angelo, che hai
nel cuore, per una buona e
serena notte, che apra
al nuovo giorno.

Napoli, 11 maggio 2016

 

 

MISERIA E NOBILTÁ

 

Una cicca, sì proprio una cicca

di sigaretta, erano spiccioli,

quelle che raccoglievano

con bastoni con punta

a chiodo, uomini e donne

persi nell’ombra di se stessi,

ai bordi dei luridi marciapiedi

della Stazione centrale

o a via Roma,

dove i marciapiedi

erano come le ruote delle auto,

putridi di piscio di cane.

Era la povertà di allora,

la povertà di Napoli, ancora

quando con i pantaloncini corti,

a nove, dieci anni correvo

per il centro  della città,

io vomerese,

quindi d’un altro pianeta.

Sparirono poi i bastoni con punta

a chiodo e rimasero gli sciuscià,

il mestiere che impomatava,

spazzolava e lucidava

le scarpe coperte di polvere.

L’ultimo sciuscià, lo puoi oggi

ancora incontrare,

Angelo Calza,

fuori la Galleria Umberto Primo,

in quella che ora si chiama

via Toledo,

come cambiano i nomi,

e quando sporcò i miei calzini,

al momento non si dette pace,

ma poi incolpò

le mie scarpe americane, le mie

Timberland da combattimento.

In dollari, disse, mi dovete pagare,

ridendo.

E al Grand Central Station

di New York

gli sciuscià, sono di nobile stirpe

per i prezzi che fanno,

per la loro prosopopea,

per il loro antico mestiere.

 

Napoli, 12 maggio 2016

 

 

RAGIONE E SENTIMENTO

 

Cos’è una religione
se non un insieme di simboli,
come il pesce in greco,
acronimo di Gesù Cristo
Figlio di Dio Salvatore,
di miracoli avvenuti
prove inconfutabili per ogni
religione e il vespaio di idee
e dogmi che ne conseguono?
È in noi stessi la vera fede,
cosí pensavano Leonardo
e gli uomini del suo tempo,
o forse Pitocrite della Nike
di Samotracia.
Sono nella forza morale
di ciascuno di noi le scelte
di vita, che siano l’amore
per il lavoro, la famiglia,
i figli, una donna, tali
da navigare tra le turbolenze
senza perdere il timone
tra le mani.
Quindi ragione e sentimento
la barca del sole dirigono
nei lidi sperati, ma, quando
questi tra loro confliggono,
il benessere di ciascuno di noi
su una scogliera s’infrange
e i remi vanno in frantumi
con tutti gli scalmi.
la vita stessa in frantumi.

 

Procida, Corricella, 13 maggio 2016

 

 

IL FUOCO

 

È figlio del fulmine
il fuoco,
è caldo, primordiale
come la terra e fonde
le rocce, tutto trasforma,
solo l’acqua degli oceani
lo sovrasta e può dargli
la forma dello spirito,
dell’anima, che è in noi
e che vive e vivrà sempre
perché generata dall’acqua
e dal fuoco.

Napoli, 14 maggio 2016

 

 

ERO E LEANDRO

 

Non l’Ellesponto lontano

mi costrinse l’amore

ogni sera a attraversare,

ma il Canale di Procida,

da Punta della Lingua

a Capo Miseno,

un paio di miglia,

il fondale basso

alla Secca di Marsiglia

e a quella del Torrione,

comunque basso,

che quando il mare mugghia,

è tutto un vortice,

e le navi a picco tra i gorghi.

 

Una triste sera di vento

non si congiunsero i corpi,

ché un soffio

la lucerna spense,

solo un soffio

dalle tue mani Ero,

sacerdotessa e mia sposa.

E per me fu notte vera,

il buio della morte tra i flutti

e sulle sabbie di Miliscola,

io esanime

io Leandro, il tuo amore.

 

Le tue vesti raccolsero

pietosamente il mio capo

e il tuo corpo leggiadro,

tu sacerdotessa cara

a me e a Afrodite,

da grande dolore invaso

precipitò, per scelta tua,

dal faro,

che è lì per ricordare

un amore grande, dolce

e gentile.

 

Napoli, 15 maggio 2016

 

(vesione con qualche modifica rispetto a quella pubblicata nel 2016 e nel 2020)

 

 

BRILLII

 

Le buganvillee bagnate,
come di rugiada brillano
al sole, che furtivo apre
uno squarcio in questo dí
caprese di nuvole e pioggia.

Solo i tuoi occhi piú brillanti,
e il basolato pure brilla di nero
e acqua e richiama il luccichio
che vidi ad Ascona sul lago.
Gli stessi gerani che tu tanto
ami, gli stessi colori, le stesse
campane, le stesse canoniche
ore, quelle del Collegio Papio
di lí, quelle della torre di qui.
E nel Canton Ticino, sul lago
Maggiore, un pezzo di Capri
è Ascona,
splendendo i tuoi occhi qui,
come allora i tuoi occhi
sul lago lí, dove eleganti
panchine, gai colori e colorati
tendoni, il tempo davano
di riflettere sulle bellezze dei
luoghi, sulla volubilità delle
donne, sulla forza dell’amore,
che tutto può in ogni stagione.

 

Capri, 16 maggio 2016

 

 

A MEMORIA

 

A Marina del Cantone
portava la corriera della Sita,
era tutto un percorrere di gomiti
sul Nastro Verde

e la tua immagine
compariva solo nel controluce
del cielo e del mare,
ché la vegetazione dopo il tornante
è piú fredda dell’azzurro,

quando c’è il sole,

almeno cosí vedo io,
che la campagna soffro quando
non è incombente sul mare,
come sulla Costa d’Amalfi o
alle Cinque Terre di montaliana
memoria.
E il pensiero vagava alla ricerca
del tuo sorriso piú bello,

ai tantissimi bei ricordi

sempre vividi nella memoria,

al tuo mitico soffio sui capelli,
fino al giorno in cui si spense la luce,
fino alla tua rabbia per l’abbandono,

per aver infranto la fiducia

d’un patto d’amore e

all’insulsa immediata vendetta,

che covava nel cuore.

 

Mai più i binari si incroceranno,

ma diritti paralleli infiniti

per la loro strada.

Marina del Cantone, 17 maggio 2016

 

 

CAMPANE

 

Quando non sono a morto,
confortante il suono
delle campane,
ti dice che tutto è vivo intorno,
non solo il vivo colore delle case,
solo di tanto in tanto scolorite
dal tempo, qui alla Corricella.

Ti dice che il suono, a me dolce,
come la voce d’una madre
quando porge il seno
e le piú belle ninne nanne
canta con voce argentina
e calda,
puoi solo sentire nei rupestri
paesini, nei borghi di mare,
nelle tante isole dall’Egeo, fin
qui, alla Corricella, regno di reti,
di barche e di ripide scale.

Questo suono
ti dice di nuovo che tutto è vivo
intorno.

Nelle città anonime solo
lo scampanio delle cattedrali
le messe annunciano, di rado
i quarti, le mezze ore, le ore.

Le ore della vita,
per chi vive intensamente
ogni minuto, ogni secondo,
ché la vita è un dono per chi
sa coglierne appieno il bello
e ha tanta voglia d’amare.

Ora alla Corricella
pescatori dalle mille reti,
come campane a distesa,
tanti Menes, i gatti d’una mia
amica cara,
tanti gabbiani, che planano
intorno, non ancora rapaci,
come su una qualsiasi
terrazza di Napoli,
dove nidificano da tempo ormai
e di colombi fanno strage.

 

Ora alla Corricella c’è il sole,
la luce, tanta quanta può averne
l’umore benevolo di chi guarda
oltre le nasse, oltre l’orizzonte,
ché è oltre l’orizzonte che puoi
incontrare la tua anima.

 

Procida, Corricella, 19 maggio 2016

 

 

PIAZZA UMBERTO PRIMO

 

Le poltroncine di vimini,
sul tuo tavolino un Silver
cocktail e il mio silenzio,
che bisticcia col sommesso
vociare dal Gran Caffè,
al Piccolo bar, al Caffè Caso,
fino al Tiberio bar a ridosso
della chiesa che inneggia
a Dio Padre.
Tuttavia il perpetuo
via vai è mondano,
un continuo sedersi, alzarsi,
con i camerieri
a ciacolare in varie lingue
non meno il napoletano,
con cravatte e pantaloni
neri e camicie bianche,
a chiedere la comanda
loro piú signori dei signori,
ma non restii a scalciare
i colombi da sotto i tavoli.
La scena del teatro si popola
a sera con orde di tacchi alti
in perpetuo equilibrio, il tonfo
altamente probabile.
Ma se tu bene osservi
non è piú lo scintillio, i colori
sgargianti degli Anni gloriosi,
quando la Movida impazzava
e i principali attori
di quello spettacolo, a volte
veri principi, erano
piú delle persone comuni.

Tutto cambia, si sa, ma rimane
tuttavia il mito della piazzetta,
ieri come oggi.

 

Capri, 21 maggio 2016

 

 

AURORA

 

 

Per Aurora Cacòpardo

 

Prima che emerga
dall’orizzonte del mare
il gran cerchio d’oro,
come per la scelta di Paride,
quando rese felice Afrodite,
la luce di Aurora sorride
al giorno
e al crepuscolo di nuovo
di arancio si tinge,
e il profumo di zagare si sparge
sul suo viso, Aurora,
mai malinconica,
ma dolce e insieme ferma
nelle idee, nel suo scrivere
nel suo mormorare sagge
parole, colte parole.
Un vezzo di famiglia il cappello,
un modo di porsi elegante
per la sua fresca bellezza
ché l’incalzare degli anni,
non ha che migliorato
lo spirito e l’acume
rendendo certi anziani, saggi,
mai vecchi.
La nobiltà del suo nome
apre sempre un giorno fecondo
e la sua generosa presenza
sempre porterà al giardino
con le sue zagare a Taormina,
dove novella Elena si incamminerà
col suo Paride nei posti piú belli,
quelli dove è piantato
il suo contorto ulivo
saraceno.

 

Procida, 22 maggio 2016

 

 

 

AI POETI

 

Tu puoi scoprire un luogo,
un paesaggio
anche se lo hai visto già
milioni di volte,
da te dipende,
solo da te porgere la dovuta
attenzione, in almeno un momento
della vita
tanta è l’abitudine a non vederlo
per niente.
Ma quando sei un poeta,
un artista, a te nulla sfugge
e quel luogo avrà una voce,
un profumo, un alito di vento,
che lo renderà unico,
riconoscibile solo a te che lo ami,
a te che lo hai sempre amato.

 

Procida, Corricella, 22 maggio 2016

 

 

VENTI

 

Da tante direzioni volteggiano
i venti,

come su un lago tanti cigni,
tutti benigni per stare bene

con se stessi,

se si esclude lo Scirocco,
che porta sabbia sui capelli,

sugli occhi e dà al respiro

un senso di fiacca,

d’abbandono sul letto.
Cosí è anche per i sensibili,

che di carezze, baci, sorrisi,

abbracci  si nutrono,

non di manrovesci, tali da stordire

l’anima, che vorrebbe  annegare

nelle sabbie mobili d’una palude

ai confini d’una città,
un moderno Golgota,

come nella Gerusalemme,

dove puoi  davvero trovare di tutto,
l’amore più profondo per
gli incensieri sulle sacre icone,
come l’odio piú profondo
degli Scribi e dei Farisei.

 

Napoli, 23 maggio 2016

 

 

PIAZZE DI ROMA

 

Via Frattina
via Borgognona
via Condotti
via delle Carrozze
via della Croce
e da via del Babuino
l’obelisco di piazza
del Popolo, è tutto
un suono di nomi
di strade, di eventi,
qui a piazza di Spagna,
che raccontano la città
di Roma,
non seconda alla Venezia
dei Dogi,

dove Vivaldi maestro
d’Armonia era secondo solo
al mastro campanaro

di Sant’Agnese a piazza Navona,

immacolata

come Trinità de’ Monti,
quando egli scoccava l’ora
di Mezzogiorno
e il barocco esultava

per la gioia di vivere

dei Pamphili e di tutto il popolo

di Roma.

 

Roma, 24 maggio 2016

 

 

SANT’ANGELO

 

Il dondolio delle barche
richiama il capriccio,
il diritto della tua bambina
di scalciare nel tuo grembo,
per aprire presto gli occhi
lei moderna Persefone,

alla luce degli ombrelloni

dei Caffè,  qui a Sant’Angelo

come a  Santiago di Cuba,
di colore beige chiaro,
non come le camicie di canapa
che puoi vedere agli ormeggi
sulle spalle dei rudi pescatori
in tutti i porticcioli di tanti mari.

E tu bambolina,

che devi far vedere la tua testolina

al mondo, ricorda nei momenti

di malinconia  questo beige,

che rilassa l’animo,

come il verde dei prati

della Val Venosta, sui quali

tua madre correva felice,

in quegli anni felici.

Ma la tua vita è già scritta,
piena di allegria,

di gioia per l’amore
di tuo padre e di tua madre

e di chi ti vorrà bene sempre.

 

Ischia, Sant’Angelo, 25 maggio 2016

 

 

L’ATTESA

 

Era lunga l’attesa

e le sue unghie

erano assediate dai denti,

corroso lo smalto,

dilaniato l’indice

per il ritardo del treno.

Era quello dei desideri

mattutini, che doveva

aprire a una buona giornata,

ma l’orecchio sul binario

indicava sempre un sordo

silenzio, le rotaie, lungi

dal suscitare le emozioni

del viaggio, erano sopite,

smontate dalle traversine,

così che il treno dei desideri

non sarebbe mai potuto

arrivare in stazione,

né durante il giorno,

né all’imbrunire del giorno,

le unghie sempre più corrose

dai denti.

Si era in piena tundra

e regnava il silenzio.

 

Napoli, 26 maggio 2016

 

 

THE AMALFI COAST

 

L’apertura della finestra
il potere aveva avuto
di fare entrare la luce
con prepotenza nella
stanza.
Gli occhi transitavano
dal buio al sole
sul mare e le due torri
erano sempre lí
a guardarsi da secoli
e la grotta
dello Smeraldo era lí
a incutere quella sacra
reverenza che si ha
per le cose belle.
E tu Praiano
hai il dono della interiore
bellezza e i tuoi occhi
sanno scavare
nelle profondità della
memoria i miei, spesso
accecati, travolti
dal frastuono delle false
luci della città.

 

Praiano, 28 maggio 2016

 

 

VIA TERRAMARE

 

 

Al caro amico Paolo Sandulli

 

 

Il guarracino lottò
con la vecchia polpessa
e il mare si tinse di rosso,
anche di notte
quando molte murene
caddero alla luce
delle lampare e d’una fioca
pallida eterea luna.
Ma il mare non era solo morte,
anzi era un gioco fatto d’amore,
come quando Lighea attrasse
a sé l’amato pescatore
e lo fece suo nel profondo
del cuore e con la coda
e con la pinna lo avvolse
in un amplesso ancestrale.
Questo è anche il mare di
Pascalotto che fuma tranquillo
con sotto la barca il totano
gigante dei suoi sogni, che mai
prenderà.
Infine anche Carmela che dorme
e pescatori che si giocano a tre
sette la loro giornata di pesca.
Questo è il mare quieto di Paolo
per Marina di Praia.

 

Praiano, 28 maggio 2016

 

 

 

ARMANDINO

 

Tu ami cantare ritornelli
coi tuoi amici
volteggiando tra i tuoi
tavolini alla magica Praia,
vecchie canzoni che
rallegrano il cuore tra
il vino d’Amalfi che scorre,
il profumo intenso dei
gamberoni e i tubetti coi
totani, sí i totani che un
tempo pescavi nel tuo mare,
l’oro che saliva sui monti
per il baratto coi profumi
della montagna.
Perché la costiera è
nella tua anima,
Armandino,
e quando arriva la bella
stagione, tu sei pronto
a accogliere gli amici devoti
col tuo sorriso,
la tua saggezza
e la tua ironia.

 

Marina di Praia, 29 maggio 2016

 

 

ORIZZONTI

 

La scia della barca a motore
crea una nuova linea di
orizzonte,
al di là Capri e la Punta
Campanella,
al di qua, a Posillipo,
i pini marittimi
a ombrello, che ti
riparano dal sole.
Poi vedi la scia svanire
e via via sfumare nel
nulla e l’orizzonte vero
resistere al velo di foschia,
ben saldo a separare il
cielo dal mare.
In fondo questi orizzonti
che percepiamo
la metafora sono
delle incertezze e delle
certezze nella vita,
di quando le tentazioni
gli affetti effimeri
cedono al ricordo di
ció che è stato
e gli affetti solidi, carichi
di nostalgia sono
cemento e ferro forte
e ancora forte
per sostenere le
fondamenta del futuro.

 

Napoli, Posillipo, 30 maggio 2016

 

 

LIBERA DALLE MAFIE

 

Il bisogno che abbiamo
delle ali per sognare

un mondo pulito,

vuole eroi,

santi per vincere
le nostre battaglie nella lotta

contro un cancro,
quello che può colpirci
a tradimento ogni momento,
il cancro d’una società
corrotta

o quello delle mafie.

 

I più impavidi, onesti, puri
hanno sognato un mondo

nuovo, lottato hanno
nel bel mezzo d’un campo
arato con pochi semi.

Ma il loro sangue ha dato

linfa a tanti alberelli

e allora l’esempio dei primi

caduti li ha moltiplicati,

per fare del campo

con pochi semi, un

bosco oggi,

una foresta domani.

 

Questa è Libera dalle mafie.

Mai più alberelli

dovranno vedere il petto

dilaniato, coperto di sangue,

tutti, invece a testa alta

e a petto scoperto.

Napoli, 31 maggio-2 giugno 2016

 

 

IL SELCIATO

 

Il selciato non era sordo
ai tuoi passi e odiava
la tua andatura pesante,
la tua stanchezza,
sapeva tutto di te,
che non avevi molta
voglia di vivere se non
girovagando in altri lidi
per cogliere tutto,
ogni attimo dei mutamenti
sempre continui
d’un paesaggio, come i capricci
d’una donna quando dal pianto
più dirotto passa al piú bel sorriso.
Il selciato non si adombrerà,
se lo calpesterai di rado,
sarà felice per te,
per la tua avida sete
di conoscenza,
per la tua gioia
nel veder sorridere una donna,
dopo un velo di lacrime
o un pianto dirotto.

Napoli, 2 giugno 2016

 

 

SCAUT

 

Nel pollice sul mignolo
ti vedo, quando proteggi
il piú debole, che non riesce
neppure a alzare la bandiera
e a cantare, neanche
la promessa a recitare,
poiché un nodo alla gola
non è il gioco dei nodi
a chi è piú bravo.
Bei ricordi,
soprattutto gli amici.
Dare e ricevere, ritrovare
se stessi.

 

Macerata, 5 giugno 2016

 

 

PROFONDITÁ

 

Azzurro profondo

è il mare quando i tuoi occhi

parlano

del tuo bisogno d’amare

il prossimo tuo

come te stesso.

 

Verde smeraldo

è il mare quando

nel tuo ricordo

vive sono le trasparenze

della tua vita, come ginestre

a ornare il tuo bel viso,

ancora poche le rughe

pochi gli affanni.

 

Come pece il mare di notte

quando non vuoi ricordare

il cuneo conficcato

nella tua mente,

presa dal vortice

della paura del vuoto

per qualcosa di te

di incompiuto,

per le passioni sopite

in un giorno di primavera.

 

Napoli, 7 giugno 2016

 

 

 

MALAVITA

 

Cos’è un vicolo
se non una straduzza

stretta tra alti antichi

palazzi di tufo,
carica di panni appesi
alle finestre

e a qualche balcone,
in cerca di uno sprazzo

di sole?
Napoli è anche il vicolo,
non solo la maestà
dei palazzi dei signori.
Ma nei vicoli

ogni tanto si spara,
specie alla Sanità,
si spara e si muore.
Anche questa è Napoli,
la bonomia e la ferocia,
la tensione

al bello del paesaggio
e della storia,
il ludibrio della canaglia,
i morti dei clan

in guerra fra loro.
L’amore per la città
in tutti un io diviso,
tra amore e odio,
la nostra malinconia.

Napoli, 8 giugno 2016

 

 

LO SPECCHIO

 

Ti guardi allo specchio
e cerchi di parlare con lui,
è un dialogo tra sordi,
due lingue diverse,
ma tu vedi la tua immagine
riflessa con quella di lui,
del tuo gatto stretto stretto
in petto, la testa contro
la testa, due mondi,
due modi di vedere l’essere,
tu a interrogare la tua immagine,
lui spaurito a non riconoscersi,
a vedere solo te, il padrone.

Ecco ció che distingue
l’uomo dal gatto, tutti e due
un frammento diverso di vita,
ma tutti e due a avere uno
bisogno dell’affetto dell’altro.

 

Napoli, 10 giugno 2016

 

 

PALAZZO DONN’ANNA

 

I due alti archi,
gli occhi di Beppe e Stella,
le lacrime della fanciulla
per l’amore perduto
in un trabocchetto, in un urlo
tra le rocce e il mare.

Guardavano gli occhi
lontano, nella storia,
nella leggenda
d’un palazzo maledetto
da Dio e dagli uomini.
Un pianto infinito,
una maledizione di secoli,
per i capricci d’una regina,
fatti d’eros e thanatos,
d’amore violato,
la maledizione di Stella,
la fine inconsolata
di Anna, lontana
dal suo palazzo incombente
sul mare, tutt’ora in rovina
là dove si guarda nascere il sole.

 

Napoli, 12 giugno 2016

 

 

MEZZALUNA

 

Potevi tu dimenticare
la mezzaluna rossa
quella sera, come arcobaleno,
un arco, con un cupido
a tendere la corda
e la freccia a centrare
il tuo cuore nel mio?
Tutto è calmo
tra Punta Pizzaco
e Punta Solchiaro
e la mezzaluna è sempre lí
a significare la passione,
che, solo come una rosa,
può tingere il tuo petto rosso
con il mio.

Procida, Corricella, 18 giugno 2016

 

 

SUONI

 

La dolcezza del suono

delle tue parole

la vorrei sentire

negli spazi cosmici,

dove il suono è puro

lontano dai violenti

rumori delle città,

delle discoteche,

di tutto ciò che disturba

l’udito,

il rombo dei motori

degli aerei o delle

auto che sfrecciano

per la vittoria.

 

Come vorrei sentire

il dolce suono, mamma,

rivolto dall’Orsa minore

all’Orsa maggiore, padrona

dei cieli di settentrione.

 

Come vorrei sentire

il suono che sapeva dare

Carmelo Bene alle parole

d’una poesia altrimenti

incomprensibile, ma

che diveniva per tutti

emozione, sentimento

lì nei vari teatri del mondo.

 

La dolcezza del suono

delle tue parole

la vorrei sentire sempre

come quando mi parli

d’ amore e quanto mi dici

si incardina nella mia anima

e tutto è più lieve,

sì tutto più lieve.

 

Napoli, 19 giugno 2016

 

 

 

L’OMBRA DEI PLATANI

 

L’ombra dei platani

mitigava il sole cocente,

una rincorsa era a quello

più carico di rami e di foglie.

 

Le foglie dei platani,

tante quanti gli uomini sulla terra,

se si contano tutti i platani sulla terra,

trapassano la loro ombra,

per immaginare un mondo

senza foglie, senza alberi,

come un pensiero

senza l’ombra del dubbio

del peccato

del pathos

dei chiaroscuri della vita,

se così fosse

tutto sarebbe schiacciato

dal peso della luce,

sarebbe tutto senza il bello della

sorpresa tra le foglie,

il bacio furtivo degli innamorati,

una carezza al vento,

che dà rumore alle foglie.

 

Napoli, 22 giugno 2016

 

 

ROSE ROSSE

 

L’arsura è infinita

per la donna che si ama

e per quante siano le donne,

ognuna differente dall’altra,

è solo una quella da amare,

ma la vera ricchezza è vederle

tutte raccolte in un unico

fascio di rose rosse,

rosse come il carminio.

 

Napoli, 27 giugno 2016

 

 

SANTA MONICA

 

Sulla sabbia bianca
di Santa Monica fino a
Malibu,
albatros e gabbiani in lotta
contro il vento,
che strozza il volo
in un lamento
per tenere la rotta.
Questa è lotta.
E noi qui, insieme con le palme
delle Hawaii,
a vivere l’emozione
del vento sul viso e sulle foglie,
ché la bonaccia non è per noi.

 

Santa Monica, 5 luglio 2016

 

 

SCOTTSDALE

 

Ho camminato
per miglia e miglia
a Scottsdale,
il sole a quaranta gradi,
alle diciannove,
alla periferia di Phoenix,
Arizona,
non un passante
a cui porgere parola,
neanche un passante per caso,
solo auto a centinaia,
che sfrecciano
sulla strada larga e rettilinea,
verso il loro destino,
un pub, una casa,
una casa a un piano, due piani
massimo,
quelle a quattro una rarità,
tutto è piatto a Scottsdale,
orizzontale,
così Phoenix, squadrata
come una città greca,
ma senza un’agorà
per discutere sui massimi
sistemi o sulla colpevolezza
o l’innocenza di Socrate.

 

Phoenix – Scottsdale, 6 luglio 2016

 

 

LAGO POWELL

 

Sorvolare
con le ali d’Icaro
il Grand Canyon
e il lago Powell
vuol dire incontrare
i grandi spazi americani,
ció che è il sogno
di ogni cittadino USA,
di ogni cittadino del mondo,
libero di scoprire i grandi
disegni, i piú vari e veri
colori della natura
e quando la cera si fonde
al sole, l’anima d’un Icaro
moderno si aggiunge
ai grandi spiriti dei Navajos
e delle altre tribú di indios,
ai grandi spiriti primordiali
di questa sacra terra.

 

Antelope Canyon, Arizona, 9 luglio 2016

 

 

FERLINGHETTI

 

Leoni marini
a un molo di San Francisco ,
il Pier 39,
chissà perché qui così a Nord,
quando centinaia li vidi
alle isole Ballestas, tantissimi
chilometri piú giù nel Perú
lontano.
Anche questa è San Francisco,
la città del Golden Gate,
un sali e scendi continuo
che ti porta al mare,
di fronte la Alcatraz di Al,
ma anche il bacio dei leoni
di mare e la City lights books
di Ferlinghetti, poeta americano
di sangue sefardita e italiano,
che amó Ginsberg e Kerouak
e per il primo finí in prigione.
“E appoggió la tela a terra
e giacque solo con lei
e a lungo giacque con quella
vergine, desiderando
una purezza tutta per sé”,
le sue parole.

 

San Francisco, 15 luglio 2016

 

 

AUSCHWITZ

 

Trasudano sangue
i blocchi
del famigerato campo,
gli occhi in cerca di luce
spaccati in due dall’orrore
per le montagne di valigie
vuote, di vestiti, di scarpe,
di capelli di donne,
mezzo marco il chilo,
milioni di donne,
e i denti d’oro da fondere
per la Banca Centrale,
per costruire un drago,
orrore nei sogni,
specchio dell’umanità
persa nei campi,
nei famigerati campi,
mercimonio pure la cenere
per fertilizzare la terra
senza piú lacrime.

 

Oświęcim, 30 agosto 2016

 

 

CUORE POLACCO

 

Ho visto il tuo cuore
nella chiesa di Santa Croce,
Fryderyk,
ma è di tutti
per come suonavi
sotto il salice ai giardini
reali o nella città delle luci
e ho visto il sangue
di Papa Karol sulla stola
accanto alla sua Madonna
nera nella sacra terra polacca,
ma anche l’urna di Edvige
sotto il crocifisso nero
al Wawel,
la regina buona e bella,
che seppe trasformare
la sfera del potere
e lo scettro,
dall’oro all’umile legno.

 

Wrocław, 1 settembre 2016

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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